Impresa Sociale. Basta trascorrere una giornata al Social Enterprise World Forum in corso a Milano per capire “di che si tratta”.
Per cogliere l’essenza di un fenomeno occorre andare al cuore di ciò che è, e il metodo più adeguato è quello dell’osservazione come diceva il premio Nobel per la medicina Alexis Carrel: “Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità; poca osservazione e molto ragionamento portano all’errore”. L’impresa sociale osservata nel flusso eterogeneo delle esperienze internazionali che si sono susseguite prima all’EXPO e poi allo IULM fa emergere “di schianto” il primo dato comune: la motivazione del capitale umano.
La si può osservare nell’esperienza inglese di Hisbe, un supermercato etico che rigenera la comunità e che coinvolge 2000 persone alla settimana (“Happiness before profit” è il suo payoff), passando poi per Afripads, l’impresa femminile che produce assorbenti igienici lavabili e perfettamente accessibili anche alle fasce più povere della popolazione ugandese che oggi conta 130 occupati, fino ad arrivare alle nostre esperienze di cooperazione sociale come quelle degli ibridi del Consorzio CGM e del Consorzio calabrese Goel.
L’impresa sociale esiste per trasformare (non solo per re-distribuire) e il meccanismo generativo di questa trasformazione è la persona, la sua motivazione: “You can copy my idea but not steal my dream“...ha detto Martin Burt della Fundaciòn Paraguay.
Quando la persona poi “si fa Comunità” (impresa collettiva) emerge con forza il secondo dato comune a tutte le imprese sociali: l’impatto sociale. Senza entrare nel dibattito della misurazione e degli indicatori dell’impatto sociale, lo streaming degli eventi del SEWF 2015 ci segnala in maniera inequivocabile che l’impatto (quale che esso sia) è l’esito di un processo inclusivo, di partecipazione, di co-produzione…insomma non c’è impatto senza inclusione.
Il terzo elemento che ho osservato nella mia giornata trascorsa al SEWF è la posizione di “apertura” dei delegati rispetto a tutto ciò che può essere utile a creare valore sociale. L’impresa sociale in questo senso è realmente paradigmatica: per produrre valore deve ricombinare sociale, economico e istituzionale con ciò che è meritorio, commerciale e pubblico. Il distillato di questa azione (trasformazione) è un cambiamento da offrire alla comunità (qualunque essa sia) per far crescere il proprio ben-essere.
Passare dalla separazione alla co-produzione e dall’antagonismo (o dicotomia come l’ha definita S. Zamagni in apertura dell’evento) alla complementarietà è il portato originale delle imprese sociali di nuova generazione, quelle che hanno il compito non solo di riparare ai danni ma di proporre nuove piattaforme di occupazione giovanile, di nuovo welfare, nuovi modelli di sviluppo locali e di ri-generazione.
Capitale umano, impatto sociale e apertura… il flusso globale delle pratiche, dei volti e delle narrazioni che stanno attraversando Milano ci consegnano queste raccomandazioni… segnali che solo l’osservazione e il desiderio (come diceva Alexis Carrel) sono in grado di cogliere e perseguire.
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