Qualche giorno fa ho partecipato ad un appuntamento organizzato nella sede bresciana della Cattolica dove il tema del lavoro, della partecipazione e della coesione sociale sono stati al centro, non vi nascondo che ad ogni intervento ero sempre più turbata. Turbata perché il mio pensiero andava a quella Sicilia dove vivo e a cui appartengo, terra in cui il lavoro, o per meglio dire …il desiderio di lavoro sta diventando troppo spesso occasione di morte.
Non siamo davanti al problema dell’Italia a 2 o 3 velocità, non si tratta solo di una rinnovata e forse mai ritrovata questione meridionale, siamo davanti a qualcosa che fonde insieme disagio, povertà e futuro, qualcosa di inevitabilmente più complesso.
Se in Sicilia una parte di noi scrive di produzione, di idee e di innovazione, in tanti purtroppo scrivono le storie di uomini che perdono il lavoro e per questo rinunciano a vivere. Uomini che raccontano di aziende che chiudono, uomini che portano le famiglie a pranzo alle mense del povero e non più il sabato in pizzeria, uomini che dignitosamente avevano costruito un futuro che qualcuno o qualcosa sembra avergli portato via.
Alcuni giorni fa un uomo che ha perso il lavoro non é riuscito a gridare, neanche a parlare con voce sottile...ha scritto un messaggio a sua figlia “Perdono per quello che sto facendo, ti voglio bene…”, e dentro la sua macchina si è dato fuoco. Lo scoppiettio delle fiamme ha fatto rumore ma non troppo…anzi troppo poco.
I conti non tornano più, non stiamo facendo abbastanza…., chi resiste opera…ma perdonatemi non stiamo…facendo abbastanza. Troppo spesso manca un progetto e altrettante volte scompaiono etica e morale. Il pensiero é rivolto a tutti coloro i quali hanno sperato nella rivoluzione “dall’alto o dal basso” poco importa, ai dipendenti del mondo della formazione che vedono i loro enti chiudere e i contratti svanire, a chi coltiva la terra, a chi ancora paga il pizzo, a chi si ribella, a chi non riceve lo stipendio perché non c’è il bilancio. Già, anche questo può capitare, di non poter essere pagati perché manca il bilancio…stiamo parlando di territori “governati” da amministratori che annasperebbero persino dentro una pozzanghera.
E non sono retorica se vi dico che c’è una guerra in atto, dove chi ha speranza gioca il ruolo della resistenza e continua a costruire, o almeno a contenere, mentre il numero delle vittime sale. Abbiamo gridato e lottato contro la mafia che uccideva, le istituzioni hanno gridato, le associazioni….e oggi continuiamo a gridare al lavoro che non c’è e che però uccide.
C’è un affresco conservato a Palermo nella galleria di palazzo Abatellis che racconta alcuni tratti di questa storia di Sicilia, è intitolato
“Il Trionfo della Morte”. Nell’affresco, che pare abbia ispirato Picasso nel suo Guernica e che maldestramente mi trovo a descrivere, irrompe la Morte su uno spettrale cavallo scheletrito. Essa inizia a lanciare frecce letali che colpiscono personaggi di tutte le fasce sociali, uccidendoli. Accanto ai morti c’è la povera gente che invoca la morte di interrompere le proprie sofferenze, anche se talvolta viene ignorata, e poco distanti il gruppo degli aristocratici, disinteressati all’avvenimento, che imperterriti continuano le loro attività, tranne i personaggi immediatamente più vicini ai cadaveri.
Vale ancora la pena fare rumore, operare e fare rumore, anche se siamo lontani da chi muore…mentre silenziosamente dedichiamo una preghiera a chi é rimasto ucciso dal lavoro che non c’è.
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