La sera della fatidica fumata bianca, un gabbiano reale adulto ha attraversato più volte lo schermo dei televisori per poi appollaiarsi proprio sul comignolo della Cappella Sistina. I gabbiani reali a Roma (unica città europea in cui a tanti chilometri dal mare i gabbiani nidifichino in gran numero) discendono tutti da una femmina di gabbiano che mi fu portata ferita dall’isola di Giannutri nel 1973 e che io depositai nella vasca delle foche del Giardino Zoologico di Roma. Dopo un anno, un gabbiano reale maschio che passava di lì se ne innamorò e insieme decisero di metter su famiglia sulle finte rocce di cemento dello zoo. I figli nati dal loro matrimonio si moltiplicarono e oggi Roma vanta una popolazione di gabbiani urbani di circa mille individui che nidifica sui tetti di monumenti e palazzi.
Dato questo mio legame con il grande uccello marino, ho voluto il giorno dopo commentare l’episodio del gabbiano della Sistina in un breve articolo sul Corriere della Sera che mi piace trascrivere qui, dopo esser stato confortato dalle recenti dichiarazioni di Francesco I sulla necessità di difendere il creato.
Sarebbe sconveniente assumere la visione del gabbiano appollaiato sul comignolo della Cappella Sistina a simbolo dello Spirito Santo sceso a illuminare i cardinali nella loro decisione finale. Essa però può confortarci, assieme all’inaspettata scelta del nome di Francesco da parte del cardinale Bergoglio, sulla futura disponibilità della Chiesa di rivolgere attenzione, oltre che ai derelitti e ai poveri umani, ai nostri innocenti fratelli minori, piumati, villosi o squamosi che si trovano incolpevolmente a dover dividere con noi il Pianeta.
Anni fa, quando la natura in Italia era ancor più maltrattata che non oggi, scrissi all’allora Pontefice una lettera, a firma di S. Francesco, offrendo le sue dimissioni da patrono di un popolo che così poco amava le piante e perseguitava gli animali. Questa scherzosa provocazione fece il giro del mondo.
L’assunzione, da parte del nuovo Pontefice, del nome del Poverello d’Assisi – che dialogava con gli uccelli, predicava ai pesci, chiedeva all’ortolano del Convento di rispettare le pianticelle selvatiche e strinse un compromesso storico col lupo di Gubbio – ci riempie di speranza e di gioia.
Finora – a parte la famosa immagine di Pio XII con il cardellino che gli cinguettava attorno mentre si faceva la barba, le escursioni di Papa Wojtyla al Parco d’Abruzzo e le generiche dichiarazioni in favore dell’ambiente da parte dei Pontefici – pochi o nulli riferimenti a piante e animali si possono trovare nelle omelie e nelle encicliche pontificali.
Eppure tutte le meraviglie viventi che compongono il Creato hanno, oggi più che mai, tanto bisogno di attenzioni e cure, dato che l’uomo sta rapidamente portandole all’estinzione o le sottopone a trattamenti crudeli e inutili come la vivisezione.
Chissà quanti cattolici devoti gioirebbero nel vedere accomunati nel rispetto della vita anche le piante e gli animali – finora tenuti in disparte dalla Chiesa col timore di un ritorno al panteismo – riconoscendo in ogni espressione della natura, dagli uccelli del cielo ai gigli dei campi citati da Gesù (Luca, 12,22), l’impronta sacra del Creatore di ogni cosa.
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