La 43° Giornata della Terra dell’ONU, celebrata il 22 aprile tutto il mondo, rappresenta un’occasione importante per rendersi conto dello stato di salute del Pianeta, l’unico che abbiamo.
La situazione, nonostante gl’impegni, spesso solo cartacei, delle nazioni e delle organizzazioni internazionali, non appare confortante. La popolazione umana continua ad aumentare (si prevedono 9.3 miliardi per il 2050) e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a gennaio ha raggiunto un record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale (il 2012 è stato il nono anno più caldo dal 1880) verso un aumento di più di 2° di media, con gravi danni, soprattutto per l’agricoltura e l’alimentazione.
Ed è proprio sull’alimentazione di una umanità in crescita in numeri ed esigenze, che il WWF punta il dito nell’Earth Day odierno.
La produzione alimentare costituisce infatti una delle maggiori cause del consumo delle terre emerse non coperte dai ghiacci e della perdita della loro biodiversità. L’agricoltura ha già trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e delle selve tropicali; l’acqua usata per l’irrigazione assorbe il 70% di quella disponibile sul Pianeta; la sovrappesca sta portando all’estinzione numerose specie ittiche.
Se si esclude l’ultima glaciazione, terminata circa 10.000 anni fa, nessun’altro fattore ha avuto un impatto tanto distruttivo sugli ecosistemi.
Ma se può risultare illusorio affidarsi solo alla responsabilità dei governi – i quali più che alle generazioni future puntano alle prossime scadenze elettorali – molto si potrebbe ottenere, in questo specifico settore, dall’impegno di tutti noi. Anche una minima inversione di tendenza nei consumi e negli sprechi, se ripetuta per miliardi di persone, può rappresentare un primo passo verso un futuro più sostenibile.
Innanzitutto limitare il consumo di carni.
L’allevamento del bestiame, sopratutto bovino, richiede ampi spazi per il pascolo ma ancor più per la produzione di mangimi, entrambi ottenuti con la distruzione di immense superfici di foreste tropicali: la stessa quantità di terreno e di acqua occorrenti per produrre un chilogrammo di proteine della carne, può consentire una produzione di proteine dalla soia otto volte superiore.
Per quanto riguarda i cibi di origine vegetale, un comportamento più virtuoso deve far preferire prodotti di stagione e di origine locale, meglio se coltivati con sistemi biologici e da orti domestici, evitando anche l’acquisto di derrate provenienti con gran consumo d’energia da luoghi lontanissimi e ottenuti spesso da colture distruttive nei confronti degli ecosistemi naturali.
Inoltre, scegliendo specie ittiche non prelevate da stock troppo sfruttati – come quelli del tonno rosso mediterraneo, del pesce spada e altri e scegliendo specie più comuni come lo sgombro, le alici, le sarde, i cefali, eccetera -si può contribuire a rendere i nostri consumi in fatto di pesce meno impattanti sull’ambiente marino. Il quale oggi è in grave sofferenza per un prelievo delle sue risorse raddoppiato negli ultimi 30 anni grazie a metodi di pesca tecnicizzati e distruttivi nei confronti della biodiversità oceanica.
Non va infine trascurato il problema degli sprechi alimentari.
Secondo la FAO, un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano a livello globale finisce in discarica. In Italia, ben 108 kg di cibo commestibile sono sprecati ogni anno, contro i 99 della Francia, gli 82 della Germania e i 72 della Svezia. Anche in questo campo un comportamento più virtuoso e responsabile di ognuno di noi sarebbe molto necessario.
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