Quando, nei primi anni 60 dello scorso secolo, con Italia Nostra, CAI e WWF s’iniziò un grande lavoro per dotare l’Italia di un adeguato patrimonio di Parchi Nazionali e altre aree protette, la situazione era la seguente: in tutto il Paese i Parchi Nazionali erano quattro: Abruzzo e Gran Paradiso nati nel 1923, Circeo (1934) e Stelvio (1935). L’insieme di tutte le aree protette assommava lo 0,63% del territorio nazionale, mentre altre nazioni d’Europa, pur con un patrimonio in biodiversità inferiore al nostro, proteggevano percentuali molto più alte della loro superficie.
A poco a poco, iniziando dal mitico “Gruppo Verde” creato presso Italia Nostra da volontari appassionati delle varie associazioni, si arrivò, nel dicembre 1991 dopo numerosi e faticosi tentativi, al varo della Legge Quadro per le Aree Protette, n°394.
Questo testo raccolse le istanze degli ambientalisti e dette il via alla creazione di 24 Parchi Nazionali (alcuni nati prima con norme ispirate alla futura legge) che, assieme a Parchi Regionali, Riserve Naturali e Oasi delle associazioni ecologiste, oggi coprono oltre il 10% del territorio nazionale (il 5% solo i PN).
I punti basilari della legge, che con sospetta urgenza il Parlamento sta per modificare iniziando dal Senato, erano:
1. l’autonomia politica e amministrativa degli Enti Parco;
2. la rappresentanza equilibrata nei consigli direttivi dei rappresentanti dello Stato (Ministero Ambiente e Politiche Agricole), del mondo della scienza (Università, preferibilmente del territorio), Enti locali (Comuni, Province e Regioni) e Associazioni ambientaliste riconosciute. Tutti i membri, a cominciare dai Presidenti, devono essere persone con curricula e preparazione adeguate all’impegno di dirigenza di strutture in cui la difesa dell’ambiente e della biodiversità rappresentano gli scopi principali.
Ma poteva uno strumento legislativo così equilibrato e che aveva dato sufficienti prove nei più di vent’anni di vita di efficacia e buon governo, sfuggire alla pressioni di una politica sempre più scadente?
Purtroppo no. E, a poco a poco, resisi conto dell’importanza anche economica, oltre che di potere e d’immagine che i nuovi Enti stavano assumendo, le infiltrazioni partitiche, le rivendicazioni localistiche, gli interessi privati, spesso in conflitto con le esigenze della tutela, hanno iniziato a minare alla base un edificio che tanta importanza ha finora avuto nella difesa della natura d’Italia.
I punti della legge di modifica, denunciati e avversati dalla maggiori e più antiche associazioni, dal Touring Club a Italia Nostra, dal FAI alla LIPU, da Pro Natura a Mountain Wilderness e CTS, e altre sono i seguenti:
1. Nella composizione dei Consiglio Direttivi, pietra angolare della Legge Quadro, si prevedrebbe l’ingresso di un rappresentante delle Associazioni agricole, che porterebbe interessi di categoria spesso in conflitto con quelli della tutela della biodiversità come l’uso di pesticidi, l’accoglimento degli Organismi Geneticamente Modificati, l’uso dell’acqua e altri.
2. Si autorizzerebbero forme di controllo della fauna selvatica nelle aree protette, facilitando con ambigui provvedimenti l’ingresso dei cacciatori, senza una soluzione sostenibile dei problemi legati alla presenza di specie in sovrannumero.
3. Si permetterebbe il finanziamento dei parchi mediante royalty legate alle autorizzazioni nel loro territorio di attività economiche anche di elevato impatto ambientale.
4. Si assegnerebbe a Federparchi, associazione di categoria che non riunisce tutti i soggetti gestori di aree protette, un ruolo esclusivo di rappresentanza creando una specie di monopolio della rappresentanza degli Enti autonomi, esposto a pressioni ed ingerenze di tipo politico.
Questo processo di svuotamento dell’indipendenza e della professionalità ecologica dei Parchi Nazionali a vantaggio di istanze localistiche e politiche demagogiche si sta sviluppando in molte situazioni denunciate dalle Associazioni ambientaliste: come lo smembramento dello storico Parco dello Stelvio nelle due province di Trento e Bolzano e nella Regione Lombardia, nel trasferimento delle originari sedi del Parco Gran Paradiso da Torino e Aosta in due villaggi all’interno delle montagne, nelle nomine di direttori e presidenti degli Enti Parco con procedure partitiche e non ispirate alla esperienza e alla professionalità dei candidati.
Purtroppo – come accade già in quasi tutti i settori della nostra società – le forze più legate a interessi locali, economici e di potere prevalgono su quelle della cultura.
La prossima scadenza sarà il 21 marzo quando alla Commissione Ambiente del Senato saranno esaminati gli emendamenti a questa ambigua e preoccupante Legge.
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