A novembre del 2014, ActionAid ha lanciato una campagna di mobilitazione con cui chiede ai Presidenti delle Regioni italiane, trasparenza nella gestione dei 16,5 milioni erogati dal Governo per interventi di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne. La petizione porta il nome di “Donne che contano”, un titolo che suggerisce un duplice obiettivo: ActionAid vuole infatti che le donne contino davvero per le istituzioni, ma che conti anche la loro voce, monitorando quello che accade sui loro territori, nelle Regioni appunto e facendo in modo che i territori stessi si uniscano alla richiesta di trasparenza che ActionAid porta avanti.
Quindi se oggi iniziamo a vedere qualche risultato, lo dobbiamo all’attivismo di quasi 6mila donne e uomini, che nelle varie regioni hanno aderito a #donnechecontano e hanno firmato: più di una Regione ha infatti preso l’impegno di pubblicare informazioni sull’uso dei fondi in formato aperto (altrimenti noti come opendata).
Ma tra queste attiviste – come è normale – nascono anche altre domande… Per esempio “come possono le donne contare per le istituzioni se quando c’è l’occasione di modificare una legge elettorale non passa neanche un articolo che vincola l’elettore a indicare due candidati di diverso genere nel caso in cui l’elettore appunto scelga di specificare una doppia preferenza?” E’ l’esempio di quanto è successo in Veneto, Regione in cui sono nato, dove di recente il Consiglio regionale ha approvato un progetto di legge di modifica della Legge elettorale regionale, bocciando però l’articolo della legge di modifica che prevedeva la doppia preferenza di genere. Misura che, anche se non risolutiva di una bassa rappresentanza femminile negli organi politici regionali, per lo meno avrebbe potuto contribuire a una maggiore presenza di donne in Consiglio, obbligando elettrici ed elettori a scegliere un candidato di sesso opposto in caso di indicazione di una doppia preferenza.
In Italia, lo sappiamo, il dibattito “quote” è molto acceso e lo dimostrano le costanti polemiche e discussioni che si infiammano ogni volta che si parla di riformare leggi elettorali. Certo, questo si deve anche ad un dibattito politico inadeguato, sull’utilità di queste misure, che altro non sono se non un possibile acceleratore di un percorso verso l’uguaglianza di genere.
L’esempio del Veneto in questo senso è emblematico: parliamo di una Regione che attualmente conta su una Giunta composta da 9 uomini e 2 donne, e un Consiglio regionale in cui siedono oggi 2 sole donne su 60 componenti. Anche laddove vi è evidente bisogno di una misura per favorire la parità, non se ne sente la necessità.
Quest’anno si andrà al voto in diverse regioni. In Veneto a maggio. Potrebbe essere l’occasione per rivedere la legge elettorale e pensare a come favorire una maggiore rappresentanza femminile negli organi politici regionali. E per ribadire la necessità di assicurare una gestione trasparente delle risorse dedicate all’uguaglianza di genere. Incluse quelle per contrastare la violenza sulle donne.
Il mio invito per questo 8 marzo è per tutti; tutti gli uomini e tutte le che vorranno contribuire attivamente – firmando la petizione – a costruire un’Italia più trasparente e responsabile, dove la partecipazione sia la garanzia della tutela dei diritti. Di tutti e tutte.
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