Mondo

Vertice immigrazione: la UE rinuncia ai diritti e alla protezione

di Marco De Ponte

Una tragedia annunciata, una responsabilità condivisa

Questa verità dolorosa, l’ultima tragedia nel Mar Mediterraneo, era una tragedia annunciata. Annunciata nel momento in cui i governi europei hanno deciso (con Triton) che salvare le persone in mare non era la priorità e che anzi riducendo numericamente le operazioni di salvataggio delle carrette del mare e quelle di ricerca, avrebbero scoraggiato e anzi diminuito il numero dei disperati che provano ad arrivare sulle coste italiane e sui suoli europei.
Quindi Capi e Stato e di Governo della UE hanno preso una decisione deliberatamente, in difesa della sicurezza della Fortezza Europa, piuttosto che affrontare, come Unione ed in sede multilaterale le cause che spingono migliaia di persone a partire. La morte di centinaia di persone è il risultato di una scelta politica. E in questo i governi europei hanno una responsabilità; infatti come ha ricordato il direttore di Eunews lunedì, la UE ha “le mani legate” perché “così hanno deciso gli Stati”. In particolare i Governi del Nord Europa che continuano a credere che si tratti di un fenomeno “locale”.

Come diretta conseguenza di questa scelta, il rischio dei migranti di morire affogati, a volte addirittura gettati dagli scafisti nel mare, è praticamente triplicato. Il naufragio di sabato notte porta a più di 1500 il numero delle vittime, più di 30 volte superiore a quello del 2014. Evitare di affrontare il fatto che si tratta di una responsabilità “europea” significa essere compiacenti. Del resto l’Italia continua a ripetere che da sola non può farcela, e continua ad essere mortificata dall’assenza di interesse alla questione “migrazioni” da parte dei Paesi della UE e dalla conseguente paralisi della Unione Europea come istituzione. Ma c’è – sia chiaro – anche un responsabilità italiana, nel momento in cui si è deciso di tagliare “Mare Nostrum” perché troppo costosa, sapendo che il numero di arrivi via mare (e le statistiche lo dimostrano) non sarebbero diminuiti. Quindi di fatto l’abolizione di Mare Nostrum è una rinuncia al dovere di ogni stato di rispondere all’imperativo umanitario ed è vergognoso che un paese civile, anche non aiutato, preferisca restare a guardare perché qualche capopopolo misura in denaro il valore delle vite che si perdono ogni notte in mare (e magari le stesse persone asseriscono indirettamente una qualche superiorità della “nostra civiltà”).

Perché rischiare la vita in mare se sai che nessuno ti salverà?

La risposta è perché non hai alternative. Ogni volta che un barcone affonda o anche quando attraversa il Mediterraneo arrivando sulle coste italiane, si fa la conta; la conta dei morti o di quelli che ce l’hanno fatta, di quelli che sono arrivati. Non si fanno mai i conti di quelli che non saliranno mai su quel barcone, ma che comunque moriranno. Un numero che a molti media manca per completare il quadro. E anche ai politici. Perché, come ha ricordato bene Irin news, il barcone non è che l’ultimo dei pericoli che un migrante siriano, etiope, eritreo, libico, deve affrontare nella sua odissea personale.
Se hai una speranza di vita quasi nulla nel tuo paese, tenti il tutto per tutto. Tenti di partire anche quando sai che il giorno prima sono morte 700 uomini donne e bambini come te e come i tuoi figli. Ecco perché colpire gli scafisti è sicuramente giusto, ma non sarebbe comunque abbastanza, anzi non è quello che ci si aspetta come soluzione politica sia da parte dell’Italia che dell’Europa. Non è quello che si ci aspetta da chi intende difendere la dignità umana a qualsiasi latitudine geografica.

Colpire gli scafisti o dare ai migranti la speranza di un futuro?

Giusto fermare le bande e gli scafisti che illegalmente e in modo criminale si arricchiscono alle spalle di uomini e donne disperati e soprattutto mettendo a repentaglio la loro vita o causandone la morte. Ma i barconi sono un mezzo, di transito verso un futuro (forse) migliore; le ragioni che motivano migliaia di persone a rischiare la vita non si ritrovano solo nell’ultima scelta forzata di prendere il mare. Lo sappiamo dalle migliaia di persone con cui ActionAid lavora in Nigeria, Etiopia, Bangladesh, dai profughi siriani assistiti nei campi profughi. Fermarsi a questo assunto (colpire gli scafisti e impedire la partenza dei migranti) significa condannare a morte migliaia di persone, lavandosene le mani.
La questione vera è lavorare per dare la possibilità di scelta a chi oggi non ce l’ha. Contribuire a recuperare la capacità di chi sta oltre il Mediterraneo di immaginarsi un futuro costruito sui diritti. Il diritto a una vita libera dai conflitti. Il diritto a una casa sulla propria testa. Questo può avvenire solo se si lavora anche lontano dalle emozioni della cronaca per mettere la parola fine a conflitti, instabilità, assenza di diritti, fame e povertà.

Le soluzioni?

Oggi c’è il Vertice UE straordinario. Dalla bozza pubblicata ieri sera che anticipa le questioni oggi sul tavolo, il cambio nel mandato di Triton non verrà neanche preso in considerazione. Cioè continuerà solo a controllare i confini. E solo nelle 30 miglia marine.
Penso invece sia fondamentale che la UE si faccia carico di riprendere immediatamente le missioni di ricerca e salvataggio, impegnandosi anche economicamente per dar vita ad azioni volte a far rispettare i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo prima che diventino tali attraverso la cooperazione e poi semmai, in mare in ottemperanza al diritto internazionale umanitario che stabilisce un obbligo di protezione.

ActionAid chiede, e lo ha fatto insieme ad altre ONG e associazioni della società civile, protezione umanitaria, adesso. Politiche strutturali di soccorso e accoglienza. European Protection Now!

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