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Il silenzio degli innocenti

di Elena Zanella

“Ricordo ancora i corpi che scendevano a valle trasportati dal Piave”.

Quando, fin da piccola, ci capitava di andare in visita a Longarone dal nostro paesino ai piedi delle Dolomiti, mia nonna era solita raccontarci questo aneddoto. Con le stesse parole. Tutte le volte. Quando ci sono tornata da adulta, ne ho capito il senso. Perché la storia è un fatto ed è scritta indelebilmente in ciò che rimane. E quel che rimane – e chi rimane – non è, il più delle volte, in grado di elaborare l’orrore dei fatti. Quella sensazione di impotenza e morte è ancora vivida per le strade di un paese che non è più quello di allora e, sebbene ricostruito, è l’ombra di qualcosa che era e non c’è più. Vuoto. Ecco cos’è la sensazione che ti corre dentro percorrendo quelle vie mentre guardi là, verso l’insenatura in cui ancora svetta la diga della Sade.

Sono in viaggio verso Roma questa mattina. Mi aspettano in occasione della Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia. Non piove più ed albeggia. Come al solito, passo da un social a un altro. Leggo il quotidiano. Una sola la notizia protagonista: si fa la conta presunta dei morti per il disastro in Sardegna e si comincia a parlare di ritardi, miopie, responsabilità. Leggo del piccolo Enrico. Ennesima vittima di una tragedia assurda, volata via tra le braccia del papà. Sono una mamma e questo fa male.

Arrivo qui, partendo dal ’63 e ancor prima, passando per Lampedusa e per tutte quelle brutte storie di ordinaria follia che accompagnano le nostre vite. Nella mente ho vivido lo strazio delle immagini che le parole sono capaci di avocare.

Ma poco importa dopo…

E allora mi chiedo: qual è la nostra responsabilità? e quali sono le nostre priorità? Si parli pure di tragica fatalità ed eventi impossibili da arginare. Ma la forza dirompente lo è tanto di più quanto troverà vita facile. Finché possiamo e laddove possiamo, facciamo qualcosa: interveniamo. Nessuno si senta chiamato fuori e ciascuno, secondo responsabilità, faccia poi i conti con la propria coscienza.

Finisco di scrivere queste poche righe e sono passate le 8 da un pezzo. Il sole splende anche se siamo a fine novembre. La pioggia scrosciante è un ricordo lontano. Il racconto di mia nonna mi torna alla mente. Che siano passati 50 anni o 5 minuti non fa alcuna differenza. Ogni volta, un grido innocente e soffocato si leva e il suo silenzio è assordante.

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