Mi siedo al computer. Cerco di mettere ordine al turbinio di pensieri che affollano la mia mente all’indomani dell’incontro a Forlì sul fundraising in politica. Cerco di capire cosa si può fare. E’ importante essere consapevoli e avere chiaro che lo scenario è cambiato. D’ora in avanti, un’organizzazione nonprofit matura è chiamata a competere con un competitor scaltro, quello politico, in un mercato ristretto come quello delle donazioni. Con buona pace della causa sociale. Ma si può fare. Più o meno serenamente. Ne abbiamo già parlato qui. Valerio Melandri ne parla diffusamente qui. Riccardo Bonacina, a sua volta, approfondisce qui. Ma c’è altro.
Resetto e ricomincio.
Vado con ordine e analizzo. Riduco il ragionamento ai minimi termini seguendo il filo sottile che separa il timore dall’attenzione. Più semplicemente, cerco di capire se il mio è più vivo interesse o, diversamente, è seria preoccupazione.
Da fundraiser, scorgo un mercato che si apre e con esso le opportunità che questo nuovo scenario porta con sé: un’offerta di lavoro competente (si spera) bilanciata a una domanda che offra garanzie a nuove generazioni di fundraiser (ci si augura).
Nulla di cui preoccuparsi, quindi? Non proprio.
Temo il formarsi di due generazioni di fundraiser: fundraiser di serie A, dedicati alla politica e alle opportunità che questa offre, a partire dalle facilitazioni legislative che questa ha voluto per sé; e fundraiser di serie B, operatori nelle associazioni normalmente intese, in lotta per la sopravvivenza con le difficoltà che conosciamo bene. Sempre in bilico tra soddisfazione e frustrazione, sensazioni anch’esse che ben conosciamo purtroppo.
Male, quindi? Ancora una volta, non proprio.
Per la prima volta, il fundraising italiano ha il privilegio di ricevere l’attenzione da parte della classe dirigente. Ma c’è di più: guardando al nonprofit tradizionalmente inteso, sembra giunto il momento per il Terzo settore di rivendicare e vedersi riconosciuti i propri diritti, sfruttando le facilitazioni che i partiti hanno voluto riservarsi in cambio della rinuncia (?) al finanziamento pubblico.
In che modo, quindi? Cercando, una volta tanto, di essere opportunisti.
Il fundraising, in tutto ciò, può e deve avere un ruolo da protagonista. Abbiamo una grande responsabilità, in particolare chi al nostro interno ha un ruolo di rappresentanza, ovvero quella di prendere posizione, imponendosi come interlocutore credibile da cui la politica non può prescindere. E’ ora di intervenire seriamente per garantire la dignità della professione prima che qualcuno decida, una volta di più, il nostro destino. Perché quella che ci viene offerta in questo momento storico è una grande opportunità che va colta al volo e ci può garantire la notorietà e la dignità che la nostra professione merita.
Non so come la vedi tu ma io, riprendendo quanto più sopra, sono personalmente più interessata che preoccupata. Se così non dovesse essere, mi rassegnerò all’evidenza di un fallimento di cui tutti, consapevolmente, saremo vittime e carnefici.
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Ti invito a scaricare la legge sul finanziamento pubblico, che dopo essere stata approvata alla Camera è ora in discussione al Senato. A questo link trovi sia il testo che un ‘dossier’ di approfondimento predisposto dal Senato. Entrambi i documenti mi sono stati inviati dall’Onorevole Marco Di Maio (PD) che ringrazio per la disponibilità e l’attenzione prestate.
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