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I nemici del non profit? Fisco, banche, sindacati

Visco e Cofferati"testimonial"di quanto ostacola il privato sociale.Ma gli esperti puntano l'indice anche sugli istituti di credito e sulle stesse aziende del Terzo settore.

di Gabriella Meroni

A Parma per due giorni si è riunito il più ristretto concentrato di esperti di impresa non profit d?Italia. Trecento manager sociali e cento professori di economia riuniti in un?aula universitaria a riflettere sulle ?condizioni di sviluppo? delle aziende non profit. Noi di ?Vita? eravamo lì, e per cercare di digerire le 48 ore dense di riflessioni e parole, costringendo le teste d?uovo a scendere a patti con chi testa d?uovo non è, abbiamo preparato un sondaggio a metà tra il serio e il provocatorio: chi sono gli amici e i nemici del non profit? Cinquanta partecipanti al convegno hanno perso due minuti a fare cinque o sei crocette su un foglio per rispondere alle nostre domande. Ed ecco i risultati. Partiamo dalla lista dei cattivi. Chi sono nemici del non profit? Facile: sono Visco (che fa rima con fisco), Cofferati (che fa rima con sindacati) e le Banche, che non fanno rima con fondazioni ma hanno la colpa di avere snaturato le funzioni di queste ultime, trasformandole da casseforti del Terzo settore in bancomat della grande impresa profit. Ecco la triade che blocca le imprese sociali, indicata dal nostro campione al primo posto a pari merito, con 13 voti a testa. Seguono, sempre nella lista dei cattivi, le stesse imprese non profit – vedremo perché – e infine gli enti locali. Nel mirino dei docenti interpellati finisce comunque il sindacato. «I sindacati sono il peggior nemico, non c?è dubbio», dice a ?Vita? il professor Carlo Borzaga dell?università di Trento. «Primo perché favoriscono la rigidità delle norme sul lavoro che penalizza soprattutto le aziende non profit, e poi perché hanno espresso chiaramente tutta la loro diffidenza se non ostilità verso il Terzo settore». «Sì, il nemico è il sindacato e tutti coloro che come lui vogliono bloccare lo sviluppo del non profit a livello economico e occupazionale», rincara la dose il professor Antonello Zangrandi dell?università di Parma. «Hanno capito cioè dove il non profit può veramente sfondare. Attenzione, sono molto pericolosi». E se Visco è indicato come ?bestia nera? soprattutto dai dirigenti di cooperative sociali e associazioni di volontariato (su 13 voti, 8 vengono da lì), le Banche dispiacciono un po? a tutti. Il professor Elio Borgonovi della Bocconi di Milano spiega perché le ha votate: «Le banche e le fondazioni interpretano ancora il sostegno al non profit come beneficenza, anche quando fanno donazioni cospicue. È il loro atteggiamento che non va, espressione di una cultura che penalizza il non profit relegandolo in una posizione subalterna». Quanto al ?cannibalismo? delle aziende non profit nemiche di loro stesse, il perché è presto spiegato: quasi tutti i votanti sottolineano infatti la tendenza delle Anp al vittimismo e la «mancata consapevolezza delle proprie potenzialità, per cui finiscono per piangersi addosso, svalutandosi da sole» come dice Francesco Manfredi, docente a Parma. La scarsa formazione del personale delle aziende non profit è indicata anche, non a caso, come l?ostacolo principale allo sviluppo delle aziende stesse. La indicano come primo intralcio 28 partecipanti al sondaggio, un risultato non troppo prevedibile se si considera che molti di loro erano al convegno proprio per perfezionare la propria preparazione o trasmetterla ad altri. Ma c?è chi prova a spiegare il difficile rapporto tra necessità di formazione e scarsa consapevolezza di averne bisogno: «Nelle organizzazioni del Terzo settore a volte c?è molta retorica e poca umiltà», racconta Paola Fasulo, consulente di area programmazione e bilancio formatasi all?università di Trento. «Alcuni dirigenti mi dicono: cosa ne vuol sapere lei che è così giovane, io sono in trincea da 30 anni… Non lo metto in dubbio, ma se vogliamo parlare di sviluppo dobbiamo anche aprirci a considerare aspetti che senza una preparazione specifica, senza una formazione sono impossibii da individuare. E questo è un concetto molto difficile da far capire, specialmente nelle realtà di provincia». L?ostacolo indicato subito dopo è la confusione della normativa fiscale e l?incertezza normativa generale, che se si unisce all?eccessiva burocrazia nel rapporto con la Pubblica Amministrazione, indicata da 15 partecipanti, delinea un quadro davvero pessimistico circa le relazioni tra imprese sociali e apparati pubblici, un punto su cui si sofferma con noi anche il professor Borzaga: «L?ostacolo burocrazia non è tanto, come si può credere, nei percorsi tortuosi, ma nell?incertezza», spiega. «C?è incertezza nel rapporto con il pubblico, mancanza di chiarezza, di un rapporto definito. Questo può bloccare alla radice lo sviluppo perché non si trova un interlocutore degno di questo nome». Le questioni ritenute fondamentali per favorire lo sviluppo, invece, sono essenzialmente due: cultura del non profit nei politici e funzionari pubblici e una magggiore imprenditorialità da parte del personale dirigente del non profit stesso. Di nuovo, quindi, l?atteggiamento mentale si dimostra vincente rispetto a un?ulteriore massa di norme, leggi e regolamenti. Quanto a questi, comunque, si sente molto di più il bisogno di un riordino di carattere fiscale che di carattere civilistico: se si sommano infatti i voti dati a una maggiore deducibilità per le donazioni (norma fiscale) con quelli a favore delle agevolazioni alle imprese (altra norma fiscale) si superano quelli che indicano come prioritarie una revisione del codice civile e una nuova normativa del lavoro: 29 voti contro 23. Un?ulteriore conferma del fatto che la legge sulle Onlus ha fatto di tutto tranne risolvere i problemi fiscali del Terzo settore. Ma veniamo agli amici, perché le aziende non profit fortunatamente qualcuno ce l?hanno. Quanto alla loro identità, il nostro campione non ha avuto dubbi: la palma del più buono spetta a tutti noi, cioè alla società civile. È da qui infatti che arrivano i segnali più confortanti di incoraggiamento e sostegno e anche in definitiva la spinta ideale per progettare un futuro di espansione. «La società civile è la vera amica dell?impresa non profit perché è disinteressata», osserva il professor Borgonovi dell?università Bocconi di Milano. «Quindi può da un lato stimolare le imprese suggerendo sempre nuovi modi di rispondere ai bisogni reali, dall?altro può offrire loro una legittimazione unica e inattaccabile perché viene dal basso». «Il non profit deve rimanere ancorato alla società civile», osserva il professor Antonio Matacena dell?università di Bologna, «per evitare uno dei rischi maggiori che corre: il consociativismo, l?essere collaterali alla politica. Il Terzo settore è un grande creatore di democraticità, lo stesso self help che ne è alla base parla della sua democraticità. Farsi istituzionalizzare sarebbe un grave errore, anzi, un suicidio». Al secondo posto tra i ?buoni?, ovviamente, le università e le agenzie formative, cui spetta (come già osservato) il compito di favorire lo sviluppo; seguono le aziende non profit ?consapevoli? e la ministra Livia Turco, che raccoglie solo due voti di cui uno del professor Borzaga, che la considera «l?unico ministro della storia italiana che abbia capito qualcosa del Terzo settore». Come non considerare, infine, i due dirigenti di cooperative sociali che hanno indicato come prioritario – spontaneamente, in quanto non inserito nel questionario – un maggiore sviluppo della comunicazione sociale. ha collaborato Andrea Ansaloni Ecco i nomi di chi ha risposto alle nostre domande Il sondaggio si è svolto il 18 febbraio a Parma durante il convegno «Aziende non profit: le condizioni di sviluppo» (nella foto a fianco, un momento del convegno): hanno risposto 50 partecipanti, alcuni dei quali sono indicati qui sotto (la firma del questionario non era obbligatoria). Elio Borgonovi (università Bocconi); Carlo Borzaga (università di Trento); Giorgio Fiorentini (università di Lecce); Antonio Matacena (università di Bologna); Antonello Zangrandi (università di Parma); Marta Barbieri (univ. Bocconi); Mariella Valsecchi (Bosisio Parini); Quirino Pellegrino (Maggioli ed.); Federica Bandini (univ. Bocconi); Vincenzo Erroi (Ist. Oncologico romagnolo); Stefano Marmorato (ass. Gigi Ghirotti); Sara Citterio (Fondaz. Istituto auxologico); Marco Riva (Clueb); Marco Puglisi (univ. di Palermo); Marigusta Lazzari (Fondaz. Querini Stampalia); Maria Caterina Siliprandi (Centro studi valle del Cenobardi); Andrea Petrucci (Summit solidarietà); Massimo Bianchi (univ. di Bologna); Francesca Salemi (coop. sociale S. Marco); Paolo Andrei (univ. di Parma); Paolo Mingori (Enaip-Acli); Francesco Manfredi (univ. di Parma); Matteo Sani (univ. di Bologna); Remo Azzolini (coop. sociale Eumeo); Roberto Gamba (Egea); Anna Macchi (Egea); Michele Franzoni (coop. Avalon); Michele Andreaus (univ. di Trento); Franco Cacciani (Cesevobo); Elisabetta Dalrio (Cesevobo); Paola Fasulo (univ. di Trento); Pasquale Deddio (Cergas); Giuseppe Ambrosio ( Vita comunicazione); Maria Maino (univ. di Lecce); Monica Freda (univ. di Bologna); Rita Santagostino (univ. Cattolica); Valerio Melandri (univ. di Bologna).


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