E dai ragazzi, adesso mica fate il muso lungo?

di Gianfranco Marocchi

Un giorno di disorientamento va bene, ma non è che adesso noi che per anni abbiamo sostenuto la necessità di un rinnovamento radicale della politica, ci mettiamo a fare il muso lungo?

Ci sarebbe mai stata una prospettiva di rinnovamento con un asse PD – Monti? Quale indizio, nei passati comportamenti di questi due schieramenti, autorizzava a sperarlo?

Berlusconi sopra alle aspettative? Forse sì, ma non è che gli elettori si estinguono tutto d’un tratto. Gli elettori di destra esistono, perdere una decina di milioni di voti in due o tre anni è già impegnativo, si chiama comunque debacle, malgrado il PD avrebbe ritenuto più comodo, per vincere, che ne mancassero ancora qualche milione in più. Ma Berlusconi sa fare campagna elettorale e gli insuccessi di Monti – sotto il cui governo lo spread è andato sotto controllo, ma le strade si sono ulteriormente riempite di cittadini mal precipitati nella povertà – hanno generato l’impressione che in fondo anche Monti non era tanto meglio, che se le cose andavano male la colpa effettivamente non era di Berlusconi; e allora o ti astieni o ritorni al Berlusconi primo amore.

E ora il PD è al bivio. Può seguire la strada prudente e tradizionale – quella che probabilmente auspica anche il presidente Napolitano – cercare l’accordo con il PdL, spartirsi le poltrone – Camera a me, Senato a te, e così via, magari inserire qualche buon tecnico diverso da quelli bruciati al giro precedente, qualche giovane allevato nei pollai di partito e andare allegramente all’auto estinzione. Prossimo giro, la destra mantiene quello che ha, Movimento 5 Stelle vola al 50%.

L’altro è riscoprire di essere il PD e non, come dice Grillo, il Pdmenoelle. E scoprire quindi che misure di contrasto alla povertà, beni comuni non privatizzati, risorse per welfare, scuola e sanità, sostegno alla piccola e media impresa, contrasto alla anticorruzione, possibilità di scegliere i propri rappresentanti, sviluppo di forme di democrazia partecipata, taglio ai costi della politica, sviluppo delle energie rinnovabili, fine dell’occupazione militare della politica in ogni luogo ed angolo della società, una politica che non sia arricchimento / posizionamento personale ma servizio, ecc. non sono medicine amare da ingoiare turandosi il naso ma parte integrante della propria identità culturale. Scoprire che forse è il fatto di non avere perseguito questi indirizzi, o di averli perseguiti timidamente e in modo contraddittorio, con mille mediazioni (molte delle quali inconfessabili), ad essere stato contro natura. E che quindi il quadro che si va configurando è un’occasione unica per dare una svolta radicale in senso coerente con la propria identità, mettendo esperienze e capacità a servizio di una grande progetto di rinnovamento; se va bene, per dare un senso a questa legislatura, se va male, per continuare comunque ad avere un senso per esistere alla prossima.

Sul Movimento 5 Stelle, dopo il ritratto macchiettistico fattone per anni dai media di regime, fioriscono le analisi più varie; per mettere inizialmente a fuoco almeno alcuni degli aspetti rilevanti, ci si può chiedere come si passerà dagli indirizzi generali sopra richiamati (e da molti altri che per brevità non cito, dalle grandi opere all’Europa e che, sia ben chiaro, non sono riconducibili ad una mera “protesta”, ma costituiscono una proposta culturale ben definita) ad una definizione di strumenti normativi ed amministrativi per perseguirli. E – convengo con una osservazione di Felice Scalvini nell’ultima NotizieInRete – si tratterà di capire quanto la grande spinta di democrazia partecipativa espressa dal Movimento saprà tradursi in un progetto di democrazia economica.

Due esempi. M5S parla di acqua “pubblica” (e fa bene, su questo buona parte del Parlamento è stato eversivo mettendosi dal giorno dopo del referendum alla ricerca di strumenti per aggirare la volontà popolare), ma ora dovremo chiederci: acqua pubblica nel senso di una riedizione dei carrozzoni statal comunali, o acqua “pubblica” nel senso di governata attraverso una partecipazione diffusa dei cittadini che la devono, cittadini azionisti attivi della società che la gestisce? Lo stesso sulla sanità o sull’energia dove i ripetuti e condivisibili richiami ad evitare che ambiti cruciali per il benessere dei cittadini diventino terreno di caccia per interessi privati o partitici, può avere come esito il carrozzone o lo scenario di partecipazione attiva.

Secondo esempio. Nel corso dello Tsunami Tour, Grillo ha via via enfatizzato i contenuti “comunitari” del suo messaggio, le ultime venti – trenta tappe iniziavano con esclamazioni quali “non siamo più un movimento, siamo una comunità!” (uno o due volte ha detto anche “siamo una cooperativa”) a rappresentare il contributo diffuso e attivo della cittadinanza a quanto stava avvenendo. Nel corso dei suoi interventi Grillo ha sempre ripetuto l’importanza che “ciascuno faccia qualcosa per gli altri”, portando esempi di persone che hanno messo a disposizione tempo e professionalità per realizzare progetti di interesse collettivo. E, in ultimo, le affermazioni, oggetto di più di una polemica sugli organi di stampa, sul fatto che i sindacati costituiscano un soggetto superato, che però vanno inserite in un discorso teso a promuovere un’idea di imprese compartecipate e co-gestite dai lavoratori; idea, per completezza, non estranea agli orientamenti espressi a suo tempo dal ministro Sacconi, ma inserite in un impianto culturale diverso dal quello peloso – padronale – paternalistico del governo Berlusconi. Ebbene, vi è da chiedersi, quale sarà la traduzione in termini pratici e amministrativi di questi orientamenti di principio?

Lo scopriremo. Ma intanto, almeno personalmente, non ho affatto il muso lungo.

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