Il Presidente del Consiglio, con il suo discorso di ieri, non ha inaugurato il solo semestre di Presidenza italiana, ma tutto il futuro quinquennio europeo, insieme alla sfida più importante che le istituzioni UE si troveranno ad affrontare: il rapporto tra Crescita e Stabilità.
Perché un certa ironia delle congiunture astrali ha fatto sì che il discorso di ieri non fosse soltanto il discorso del nuovo Presidente del Consiglio UE, ma anche quello del leader maggiormente legittimato dall’ultima tornata elettorale.
L’importanza di quel discorso assume, pertanto, un orizzonte ben più ampio dei nostri confini nazionali perché mette in gioco una certa idea di Europa, prima ancora che d’Italia! Una certa idea politica di Europa, prima ancora che economica! Lo stesso dibattito politico europeo ha assunto un’importanza e una rilevanza del tutto nuova; e lo ha fatto, paradossalmente, proprio quando molti paesi s’interrogano sul senso di questa appartenenza politica sovranazionale e sulle ragioni della sua crisi.
Tra le ragioni di crisi, non a caso, ve ne è una su cui siamo tutti d’accordo. L’Europa non può esser soltanto l’Europa economica, ma dev’essere necessariamente un’Europa politica, ovvero capace di tener insieme le ragioni e gli interessi non soltanto del Mercato unico (e tanto meno del Mercato nazionale tedesco, francese o italiano), ma anche della Società civile e dei problemi di inclusione e di coesione che sono effetto e concausa della crisi economica. La crisi economica, non a caso, ci ha fatto completamente dimenticare l’urgenza e la gravità di ben altre sfide, quelle sociali[1].
Ad essere completamente sbagliata, infatti, è l’idea stessa che le sfere del Mercato, del Pubblico e della Società civile possano essere mantenute separate (vedi par. 38 Caritas in veritate). Così come sono fortemente convinto che sia sbagliato pensare che la sfida tra Crescita e Stabilità si giochi su un’alternatività ineluttabile. Vi è una Terza via sulla quale è possibile costruire una Sinistra moderna ed europea: ed è quella di un’Economia civile dentro la quale i confini tra quelle tre sfere tendono ad assottigliarsi, dando vita ad un’ibridazione di forme nuove! Al binomio Stabilità del debito Pubblico e Crescita del Mercato è possibile e non utopistico contrapporre un’idea interattiva di Crescita, Risparmio ed Equità che tenga uniti e non divisi il Pubblico, il Mercato e la Società civile.
La specificità del Terzo Settore è quella di incidere contemporaneamente sul numeratore e sul denominatore del rapporto Debito/Pil. Investire nel Sociale, significa incidere positivamente non solo sull’Equità sociale, ma anche sul Debito Pubblico (in termini di minor spesa sociale) e sulla Crescita del nostro PIL[2].
La riforma del Terzo Settore annunciata da questo Governo si faccia interprete di questa attesa. Quanti di noi hanno contribuito a promuoverla, si aspettano che sappia farsi interprete di soluzioni nuove, e tra queste, come ho già avuto modo di scrivere nel numero di Vita di Giugno e in due articoli scientifici di prossima uscita[3], vi è il rilancio dell’impresa sociale e della funzione produttiva del Terzo Settore, attraverso la valorizzazione della sua non lucratività soggettiva, anziché della sua non lucratività oggettiva (ovvero della possibilità di svolgere attività commerciali solo se non prevalenti o marginali[4]).
Per concludere, l’Economia civile non è la panacea di tutti i mali. E’ una Terza via su cui occorre insistere per dimostrare che Crescita-Stabilità-Equità sono valori in grado di coesistere. Il grado di conflittualità o di coesistenza di questi valori non è un problema ontologico ma politico. È la politica che è chiamata a trovare soluzioni nuove che sappiano interpretare quel rapporto nel modo più virtuoso possibile.
Buon lavoro Europa!
[1] Si vedano gli allarmanti scenari prefigurati dal par. 4 del Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del Paese
[3]Cfr. Verso una funzione “imprenditoriale” del Terzo Settore, in Cooperative ed enti non profit, n. 7/2014, Ipsoa e in Ripesare la fiscalità del Terzo Settore: dal no profit al non profit, Il Fisco, Ipsoa (in corso di pubblicazione).
[4] Vedi ad es. artt. 73, co. 1 lett. c o l’art. 149 del Tuir) o marginale (vedi l’art. 8, co. 2, L. 266/1991 per le Odv.
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