Volontariato

Corona dentro e Tropi fuori

di Elisabetta Ponzone

Mentre l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona va dentro, Tropi va fuori. La fuga di Corona si è conclusa pochi giorni fa, con la sentenza di estradizione in Italia da parte del tribunale di Lisbona, città in cui si era rifugiato e poi autoconsegnato alle forze dell’ordine.

Dopo l’arrivo a Malpensa, nel pomeriggio di venerdì 25 gennaio, Corona è stato condotto nel carcere di Busto Arsizio, dove ha iniziato a scontare la sua pena di 7 anni. Non si è fatta attendere la preoccupazione dei familiari che temono per le sorti del neo recluso: «Fabrizio avrebbe bisogno di una detenzione alternativa. Il carcere ha già peggiorato il suo disturbo della personalità. L’altra volta, quando è uscito di prigione ha iniziato a commettere alcuni reati, perché lì ha conosciuto i delinquenti veri». Sono queste le parole della madre di Fabrizio Corona, ospite a Verissimo lo scorso sabato.

Lasciamo perdere la differenza tra delinquenti veri e falsi. E, soprattutto, chi li definisce tali. Lasciamo perdere anche quei cassetti dei direttori dei giornali pieni di foto comprate per non essere mai pubblicate. Anni fa lavoravo con le redazioni dei giornali e vendevo anche fotografie e questo argomento già girava. Vero o falso?

Lasciamo perdere Corona e pensiamo a Tropi che, oltre a lavorare in carcere – scontando quindi, di risposta alla mamma di Fabrizio, una sorta di “detenzione alternativa” – sabato scorso, alle 9 di mattina, bello come il sole, era lì, fuori dai cancelli del carcere di Milano-Opera, da solo. In piedi, dritto dritto, senza agenti né manette. Aspettava suo fratello per andare a casa, in famiglia. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito che Tropi può «iniziare il suo percorso di reinserimento sociale» perché la sua condotta «risulta essere regolare e i rapporti con gli operatori aperti e disponibili al dialogo». In poche parole: Tropi può stare in permesso. Fuori. Libero. Esce al mattino e rientra la sera in giorni stabiliti. Nel 1990 si è giocato la semilibertà e nel 2001 la detenzione domiciliare. Nessuno ci credeva più.

Lavorando Tropi sembra abbia ritrovato se stesso. Scrivendo e lavorando mi dice «ho imparato ad avere il coraggio di conoscermi. Nei laboratori professionali ho imparato a vivere in gruppo e a lavorare insieme, cercando di aiutare il prossimo senza dovermi mettere sempre in evidenza. Ti sembrerà banale, ma per me è stato durissimo».

Sabato, mentre era fuori, Tropi mi ha telefonato due volte, felice come una pasqua. Ha parlato anche con Federica. Cose semplici, di tutti i giorni, “che si fa? cosa mangi?” Ma non solo. «Oggi ho imparato che ci vuole più coraggio a dire ti voglio bene che a impugnare una pistola per fare una rapina». Forse è proprio questo il punto. Il carcere deve tendere a diventare luogo di salvezza, anziché – come dice Tropi – «limitarsi a essere lo spazio del dolore e della colpa tenute a bada».

Chissà cosa ricorderà di questa sua prima giornata libera? L’ultima volta che uscì risale a nove anni fa. Domani vado dentro e me lo faccio raccontare. E poi domani arrivano anche le nuove macchine per cucire nel nostro laboratorio di sartoria. “Evviva!” Abbiamo presentato il progetto all’Acceleratore di impresa ristretta del Comune di Milano, settore Politiche per il lavoro, condiviso dal Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, che cerca di valorizzare le realtà produttive che operano da anni all’interno del circuito penitenziario milanese, come la nostra cooperativa, sostenendole «da logiche assistenziali a dinamiche economico-commerciali».

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