Volontariato

Credevo di dover insegnare qualcosa e invece ho imparato un lavoro

di Elisabetta Ponzone

Ieri in carcere ho imparato un lavoro. Tropi mi ha insegnato a tagliare. «Prima devi stendere bene la stoffa sul tavolo», mi ha spiegato, «non va buttata. Devi accarezzarla, farla correre: è come se l’aiutassi a coricarsi. Poi la fermi con questi pesi. Le cimose stanno ai tuoi lati, vedi tu quanto puoi avvicinarti con la forbice». Terminati i preliminari, ho appoggiato il cartamodello delle borse sulla stoffa, l’ho seguito disegnandolo con il gesso e ho tagliato. Trac, trac, trac faceva la forbice battendo sul tavolo. All’inizio andavo piano.

Il gesso a volte inciampa e fa le grinze al tessuto. Le forbici, hai paura di usarle. Non sai bene come girare attorno al tavolo. Ma improvvisamente, quando  prendi la mano, fili liscio come l’olio. Che meraviglia! Ora capisco il piacere degli artigiani. Di quelli che fanno e sanno fare.

Dalle 10 del mattino alle 2 del pomeriggio, ininterrottamente, ho tagliato fianchetti laterali, altrettanti davanti e dietro, basi, alette per la cerniera e poi tasche… quante tasche! Quelle interne delle borse che tutte le donne vogliono per metterci tutto quello che non hanno già messo nella borsa, diviso nel beauty, separato nella trousse o nel sacchettino. Se solo potessero vedere quanto tempo ci vuole per tutte queste tasche. Prima o poi dobbiamo invitarle dentro!

Intanto Tropi cuciva. Seduto in prima fila alla sua fiammante macchina per cucire mi prendeva le misure. In silenzio. Non siamo grandi parlatori. Io ero concentrata nel fare; lui faceva e mi controllava buttando lo sguardo sopra i suoi occhialini. Attento, guardava come mi muovevo. Ogni tanto, facendo finta di niente, mi veniva vicino. «Devi essere più decisa con le forbici, non avere paura di entrare dentro nella stoffa. Affonda e taglia. Vai!»

L’amica Antonia, il giorno prima, nella sua sartoria di Milano, mi aveva chiesto se Tropi è uno capace a insegnare agli altri. Direi proprio di sì. A me sta insegnando un mestiere contagiandomi con la sua passione.

«Ciao Tropi devo andare». Una distesa azzurra  mi ha accompagnato all’uscita. Da qualche giorno i giardini del carcere di Milano Opera si sono tinti di azzurro. Milioni di minuscoli non-ti-scordar-di-me sono sbocciati nel prato tra le mura che separano il dentro dal fuori. Sembra che il cielo si sia capovolto. È stato un altro, nuovo, inatteso primo giorno di lavoro: non lo scorderò mai.

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