Ieri si è tenuto a Milano un interessante convegno sulle nuove frontiere del nonprofit. Come ha ben spiegato Stefano Zamagni, in estrema sintesi si può dire che del nonprofit si stanno modificando “la percezione, il senso (inteso come ‘direzione’) ed il rapporto con il settore for profit”. L’iniziativa, organizzata dalla Fondazione EY Italia (promanazione dell’omonima società di revisione), ha evidenziato come una qualificata espressione del mondo professionale possa combinare interventi di sostegno economico – in particolare per 3 progetti specifici – con apporti di conoscenza devoluti pro bono.
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Ma soprattutto, attraverso la presenza dell’illustre professore, ho avuto l’occasione per riprendere il tema dei bilanci che, da quando è stato intonato il deprofundis per l’Agenzia del terzo settore, soffre ormai di grave abbandono istituzionale.
E dire che il lavoro svolto dall’ex inquilino di via Rovello meriterebbe quantomeno un esecutore testamentario: nessuno può negare l’importanza degli schemi di bilancio civilistico e di bilancio sociale. Il rammarico è doppio perché la mancanza di indicazioni precise su come rappresentare correttamente la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’associazione nonprofit, incide in maniera significativa sulle modalità con cui declinare la tanto invocata trasparenza. Ricordo, in proposito, che l’itinerario che aveva portato al varo di ben due principi contabili da parte dell’OIC (autorità in materia per l’Italia) dedicati appositamente ai bilanci degli enti nonprofit è stato purtroppo bruscamente interrotto.
LINK: http://www.fondazioneoic.eu/wp-content/uploads/downloads/2012/02/liberalità_DEF1.pdf
Perchè, a guardar bene, due foglietti su cui elencare entrate e uscite, ce l’hanno tutti gli enti, anche quelli meno strutturati. Come pure, si danno numerosi casi di organizzazioni nonprofit cha hanno raggiunto la ‘vetta’ del bilancio modello CEE. Ma è solo per questo che potranno sventolare la bandiera della trasparenza?
Chi impiega molta parte del suo tempo ad esaminare metri di scartoffie in questo campo (ormai digitali, s’intende) lo sa benissimo. Sa che il dolo non transita dai bilanci e che la scienza contabile offre ampie opportunità per eludere, nascondere, camuffare i conti dell’azienda (ad esempio, con giochi di scatole cinesi: le chiamano “società strumentali”). Allora, come se ne esce fuori, come si fa a rimettere in funzionamento un meccanismo sano di rendicontazione?
A mio avviso, occorre ripartire da due semplici principi su cui va convogliata tutta la nostra sensibilità civica:
1) chiunque voglia svolgere un’attività imprenditoriale (commerciale o produttiva, che sia) deve adoperarsi affinchè possa esibire una situazione dei conti in ordine;
2) chiunque si avvalga della generosità altrui, attraverso le forme più disparate di raccolta pubblica di fondi, deve registrare fino alla più piccola entrata e garantire massima diligenza nella gestione delle somme acquisite. Se siamo d’accordo su questa base (assolutamente ‘minimale’), possiamo anche parlare di bilanci, di documenti da rendere consultabili sul web e via dicendo.
Quello che manca veramente è la cultura del controllo nella sua dimensione di responsabilizzazione, di maturità organizzativa e infine (ma con minore priorità) di efficienza. Si tratta di valori che devono appartenere a tutta la società. Sarebbe piuttosto significativo, ad esempio, prevedere che le organizzazioni nonprofit con una certa dimensione di ricavi e di dipendenti debbano depositare i propri bilanci, come fanno tutte le imprese. Quante sono le associazioni e le fondazioni che oggi versano in gravissime condizioni economico-patrimoniali, senza che nessuno (all’infuori dell’autorità giudiziaria, per i dissesti già conclamati) possa disporre dei loro bilanci? Eppure, lo strumento esiste, basterebbe una semplice ridefinizione della norma sull’impresa sociale.
Ma l’ottica dell’EROGATORE non si ferma qui perchè “oltre alla cinquecento, bisogna offrire anche il corso di guida”: la filantropia deve assicurarsi che chi viene sottoposto all’onere rendicontativo, sia in grado di soddisfarlo (insomma, al bambino che entra in tabaccheria per acquistare un pacchetto di sigarette, non chiederai mica la carta d’identità per applicare la legge sul divieto ai minori?). Ecco perchè è tempo di investire di più sulla creazione di infrastrutture organizzative, professionali e informatiche che sono richieste o comunque risultano necessarie per supportare questo cambiamento culturale degli organismi nonprofit.
La strada intrapresa da Fondazione Cariplo negli ultimi 6 anni è molto chiara perché il suo portafoglio bandi prevede addirittura strumenti erogativi dedicati (‘canali di finanziamento’), finalizzati ad attivare progetti di capacity buiding, soprattutto in ambito ambientale e culturale.
LINK: http://www.fondazionecariplo.it/static/upload/amb/amb_capacity_building_2013.pdf
LINK: http://www.fondazionecariplo.it/static/upload/aec/aec_cultura_sostenibile_2013.pdf
Guardando la questione dalla parte degli enti interessati, anche alcune realtà espressione del volontariato si stanno muovendo in questa direzione. Come spesso accade, strutture di servizio che attuano la propria mission per un target in continua trasformazione (a braccetto con i fenomeni di bisogno sociale) si trovano a dover colmare ambiti che non beneficiano di un’attenzione istituzionale specifica. Speriamo solo che l’idea abbia più fortuna dell’Agenzia per le Onlus che ha cessato la sua attività proprio quando – attraverso la modifica della sua denominazione – si è vista riconoscere formalmente un ruolo di interlocutore per tutto il terzo settore.
Da più parti sono ‘invocati ‘ strumenti informatici per la tenuta della contabilità e la predisposizione di bilanci integrati con moduli dedicati alla rendicontazione di progetti e operazioni di raccolta fondi, alla gestione delle attività istituzionali dell’associazione, alla rendicontazione di attività specifiche.
Una presa di posizione costruttiva imporrebbe di proseguire su questo cammino, mettendo mano – perché no? – all’individuazione di pochi chiari e univoci indicatori di efficienza dell’organizzazione. Non mi sembra un delitto cercare di offrire uno strumento (anche se ‘difettoso’) che permetta a qualsiasi cittadino di compiere le sue scelte di sostegno al nonprofit con maggiore serenità e certezza, in mezzo a innumerevoli proposte provenienti da migliaia di associazioni meritevoli.
Se non posti sotto una tutela professionale seria, i bilanci non possono dirci quasi nulla e mai abbastanza su quanto un’organizzazione nonprofit operi correttamente, e soprattutto non ci permettono di fare confronti per mutuare un esempio da realtà più virtuose. Ma “quello che i bilanci non dicono” e non possono comunicare (neppure attraverso il book fotografico) è fatto di vera umanità che vale la pena di intervistare sul campo. Questa però è un’altra storia. Per un futuro post, forse.
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