Una scritta banale sul muro di uno dei tanti palazzi storici che si trovano nel centro di Milano. È questo il modo con cui il passante (turista, impiegato o residente che fosse) avrebbe potuto liquidare la faccenda mentre attraversava Via Manin martedì mattina 17 dicembre. Sappiamo che nei giorni scorsi è divampata la protesta in varie città italiane lasciando tracce del proprio passaggio senza risparmiare nessuno. Ma al di là della serietà con cui va presa in considerazione la voce che proviene da una parte della gente, voglio provare ad interpretare meglio quanto accaduto. Ad esempio, mi domando se l’autore del gesto sapesse che il palazzo ‘colpito’ non è uno qualsiasi, ma la sede di una fondazione di origine bancaria. In linea di massima, credo di no. E se così non fosse? Se cioè l’interessato avesse ben chiara l’identità dell’ente proprietario? Allora, il suo gesto apparirebbe poco giustificabile perché contrasta con le scelte compiute proprio da ‘quella’ fondazione. A cominciare dal fatto che pochi anni fa ha messo a disposizione della città alcuni milioni di euro per ripulire centinaia di edifici storici di pregio artistico dalle varie scritte che di artistico non avevano un granché. Come pure, non va dimenticato che il risultato di quella operazione ha contribuito ad influenzare positivamente il giudizio degli ispettori nel corso della loro visita presso la città candidata ad ospitare EXPO 2015. Fa specie apprendere ora che la sede della fondazione che aveva mostrato la propria sensibilità verso il decoro dei luoghi, abbia subìto uno sfregio su un edificio appena restaurato. Vogliamo poi parlare dell’attività svolta dalla fondazione in campo più strettamente “ambientale”? Mi limito ad accennare la varietà dei problemi affrontati: risparmio energetico, mobilità, comportamenti e stili di vita, gestione delle acque, ricerca scientifica sui fattori inquinanti. Potrei poi citare quei contributi monetari concessi per favorire il dibattito (a volte acceso ma civile) su tematiche di scottante attualità (TAV inclusa). L’atteggiamento tenuto in questo caso è stato sempre ‘apolitico’, volutamente non-orientato, proprio per favorire un confronto pacato tra punti di vista diversi, il riconoscimento di questioni emergenti, l’individuazione di soluzioni e prassi da adottare o proporre al policymaker.
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Immagino che i tecnici interpellati stiano già definendo tempi e metodi per la rimozione delle scritte. Ma per tutto il resto, credo sia utile mantenere un clima di dialogo. Altrimenti anche il graffio di un graffito rischia di non lasciare alcun segno.
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