Adozione

La continuità degli affetti e il rischio di una “vita mausoleo”

Arriva dal Veneto la storia di un bimbo in affido da tre anni in una famiglia: ora il Tribunale ha disposto che sia adottato, ma da un'altra coppia. La psicologa Linda Alfano ricostruisce la complessità di vicende tanto delicate. «Non possiamo pretendere che i bambini fuori famiglia costruiscano la vita come un mausoleo, portandosi dietro valigie di gratitudine. Nessuno di noi lo fa ed è giusto così»

di Sara De Carli

bambino sdraiato sull'altalena in un parco giochi

La stampa locale lo ha chiamato Luca. Il bimbo ha tre anni e da quando ha sette mesi vive in una famiglia affidataria della provincia di Verona. Ora il Tribunale per i minorenni di Venezia, dopo aver verificato che Luca non può rientrare nella sua famiglia d’origine, ne ha dichiarato l’adottabilità. La coppia che lo ha in affido ha dato disponibilità ad adottarlo e il Tribunale su un binario sta vagliando la loro idoneità. Sull’altro binario, però, ha già disposto degli incontri con una nuova famiglia, ritenendo che ad adottare Luca non potrà essere la famiglia affidataria: serve una una coppia senza continuità territoriale con la famiglia d’origine. 

Una vicenda emotivamente straziante, con il bambino che rivive un secondo abbandono. La legge appare crudele e ingiusta. Sul territorio c’è anche chi sta organizzando proteste, incatenandosi per Luca. Proprio storie come questa, negli anni passati, hanno portato all’approvazione della legge n. 173/2015 sulla “continuità degli affetti” dei bambini in affidamento familiare, fortemente sostenuta anche dalle associazioni: basti ricordare Carla Forcolin, presidente di La gabbianella e altri animali. La legge prevede che – quando è opportuno, ovviamente – dopo il ritorno dei bambini nella famiglia d’origine, i rapporti tra i piccoli e i genitori affidatari siano mantenuti. E che la prima famiglia ad essere valutata per accogliere in adozione il minore che già ha vissuto un’esperienza di affidamento sia (se disponibile) quella in cui il bambino già vive. Perché allora, se la cornice legislativa esiste ed esiste da otto anni, le cronache ci raccontano ancora vicende come questa? Ne parliamo con Linda Alfano, psicologa e psicoterapeuta, professore a contratto di psicologia generale e di bioetica all’Università degli Studi di Genova, segretaria della sezione ligure dell’Associazione italiana magistrati minorenni famiglia-Aimmf. È stata per nove anni giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Genova.

La norma che prevede la continuità degli affetti è a protezione del bambino, ma questo tema è complesso perché la continuità degli affetti è certamente un diritto ma non sempre è un bisogno e talvolta invece può essere anche un accanimento

— Linda Alfano

Emotivamente viene quasi spontaneo schierarsi dalla parte della famiglia affidataria e leggere la decisione del Tribunale come fredda e crudele: perché causare un altro strappo e un altro abbandono al bambino? Ci aiuta a tratteggiare la complessità della questione?

Due premesse sono doverose. La prima è che non conosco il caso specifico e quindi ogni considerazione va intesa come riflessione generale. L’altra è che l’allontanamento di un minore dalla famiglia – che sia naturale, affidataria o adottiva – è sempre la misura di tutela più estrema che un Tribunale può assumere: se un magistrato e una Camera di consiglio hanno maturato una scelta di questo tipo, dietro ci sono sicuramente valutazioni importanti. Detto questo, sono tante le motivazioni per cui la famiglia individuata per l’adozione può essere diversa dalla famiglia affidataria, anche nel caso in cui questa sia disponibile. Per esempio ci potrebbe essere una inidoneità della famiglia, che può essere sia una inidoneità per l’adozione tout court sia una inidoneità per quel bambino specifico. Succede anche per gli affidamenti, una coppia può essere idonea come famiglia affidataria ma questo non significa che lo sia per tutti i minori: questo lo si può verificare solo sul campo, anche dentro l’evoluzione dei bisogni del bambino. A volte accade anche che i genitori pur di accedere alla possibilità di accogliere un bambino non rivelino tutte le caratteristiche della famiglia, ma questo poi è un danno sia per il bambino sia per la famiglia, perché l’arrivo in casa di un bambino a volte rompe gli equilibri. La trasparenza nei colloqui di valutazione è importante. 

Che cosa significa quel riferimento alla continuità territoriale che secondo il Tribunale non ci deve essere?

La norma che prevede la continuità degli affetti è a protezione del bambino, ma questo tema è complesso perché la continuità degli affetti certamente è un diritto, potrebbe essere un bisogno (ma non sempre lo è) e talvolta invece può essere anche un accanimento. Va valutato caso per caso. Intanto chiarirei che parlare di continuità degli affetti non significa necessariamente una continuità di relazione concreta. In alcuni casi la continuità è garanzia per la costruzione di una personalità armonica, in altri casi – supponiamo che la famiglia d’origine abbia modalità di attaccamento disfunzionali, che vogliamo correggere – i contatti con la famiglia di origine sono non solo il marker di una memoria dolorosa ma anche qualcosa che riaccende le modalità antiche di relazione. Il bambino non ce la fa a fare un nuovo investimento e rimane bloccato tra la famiglia di origine, che ha una attrattiva enorme,  e la nuova famiglia. Ci sono famiglie di origine che sono distruttive e ostacolano il processo di costruzione di un’altra famiglia, per questo dico che la continuità degli affetti non deve diventare un accanimento. Talvolta il mantenere la relazione rappresenta un possibile pregiudizio, la continuità degli affetti sarà allora una operazione interna, il rispetto di una storia e non una relazione fisica. Immagino – ripeto, immagino soltanto – che il Tribunale per i minorenni abbia dato questa indicazione sulla territorialità perché ha in mente una famiglia corrosiva, distruttiva e ha ritenuto di dover allentare questo rapporto affinché il bambino potesse darsi una chance per costruire un nuovo legame.

Ci sono famiglie di origine che sono distruttive e ostacolano il processo di costruzione di un’altra famiglia. Il Tribunale per i minorenni può aver dato l’indicazione sulla territorialità perché ha in mente una famiglia così

— Linda Alfano

Non possiamo però escludere anche un errore…

Potrebbero essere stati anche errori di valutazione, come esistono gli errori dei medici e degli psicologi esistono anche quelli dei magistrati. Ma vorrei dire anche che non è possibile che ogni volta che c’è una decisione di questo tipo parta una campagna mediatica così accesa, arrabbiata e aggressiva. Si crea solo sfiducia, si allontanano le persone dai servizi e si mettono in difficoltà gli operatori nel loro lavoro quotidiano. Io lavoro anche in un servizio, come consulente: dopo Bibbiano le persone avevano paura di entrare nel servizio, per un anno siamo andati nel territorio a recuperare le persone. Il danno lo hanno avuto solo i bambini e le famiglie. Le assicuro che nei tribunali, fosse solo per ciò che la stampa gli butta addosso, l’allontanamento è davvero una misura residuale: se uno lo fa è perché ha un fascicolo ricco di elementi, nessuno lo fa con leggerezza.

Dal punto di vista psicologico, perché per un bambino può essere meglio ricominciare tutto daccapo in un’altra famiglia, anche affrontando lo strappo di una seconda separazione da quelli che per lui sono stati – per un certo tempo – i genitori?

Ci dobbiamo anche mettere d’accordo. A lungo abbiamo detto che gli istituti facevano male ai bambini perché comportavano deprivazione e abbiamo optato per gli inserimenti in famiglie affidatarie, sostenendo che per i bambini e i ragazzi è meglio stare in una famiglia (anche solo temporaneamente), perché se il bambino si sente amato, accolto, accudito, avrà una disposizione positiva nei confronti della vita e si aspetterà che tutti gli adulti siano affettivi, accudenti, positivi nei suoi confronti. Un affidamento per norma è a tempo e la famiglia affidataria ha proprio il compito di far vivere un’esperienza di cura in senso ampio, per permettere al bambino di affrontare nuove esperienze. A me sembra che viviamo la separazione in maniera un po’ troppo traumatica, mentre la vita è fatta di separazioni come momenti di crescita. Noi invece abbiamo sempre questa immagine della separazione come una cosa traumatica, che forse ha a che fare con la nostra fatica di accettare la morte. Le esperienze finiscono, eppure tutti sappiamo che ci sono momenti che non durano per l’eternità ma che sono l’eternità dentro di te. Un’esperienza buona te la porti dentro per tutta la vita e come Paese proprio su questo abbiamo costruito delle misure di tutela, come la famiglia affidataria o la famiglia ponte. Anche a me emotivamente spiace quando un paziente guarisce e se ne va, perché mi sono affezionata, perché ci ho investito molto… ma se il bambino va a stare meglio, che dire? Che vada verso la sua vita. Forse bisognava aiutare di più questa famiglia, cercare di accompagnarla in una separazione che indubbiamente fa male e che tocca le loro corde. Dobbiamo anche dire che a volte ci sono famiglie che pensano che l’affido sia una scorciatoia per l’adozione. 

Viviamo la separazione in maniera un po’ troppo traumatica, mentre la vita è fatta di separazioni come momenti di crescita. Un’esperienza buona te la porti dentro per tutta la vita e proprio su questo abbiamo costruito delle misure di tutela

— Linda Alfano

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In Italia dal 2017 abbiamo una legge che riconosce l’importanza della continuità degli affetti per un minore fuori famiglia, dando effettivamente in un certo senso la “priorità” alla famiglia affidataria se ci sono le condizioni per l’adozione. Quanto questa legge è applicata? Con quali criticità e difficoltà?

Su questo c’è grande attenzione. Dove si può salvare le relazioni che sono importanti, c’è molta attenzione a preservarle. La cura che dobbiamo avere però è che sia il bene del bambino e non dell’adulto e che non sia una forma di accanimento. Non possiamo neanche caricare il bambino dell’onere di mantenere rapporti con tutti: la famiglia di origine, la famiglia affidataria, gli educatori della comunità… I ragazzi hanno voglia di futuro più che di passato, giustamente. Non è che possono costruire la loro vita come un mausoleo, portandosi dietro tutte queste valigie di gratitudine. Nessuno di noi lo fa: quante volte poi arriviamo a dire “la zia è stata così buona con me e io non sono mai andato a trovarla…”. Da un certo punto di vista, è giusto così.

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