Sostenibilità
Ecolabel,l’etichetta rimasta clandestina
Si chiama così il logo voluto nel 1992 dalla Commissione europea come strumento di autodisciplina per le aziende che vogliono rispettare standard ecocompatibili.
Una margherita con un piccolo stelo, quattro foglioline e dodici stelle: è questo il simbolo di Ecolabel, etichetta ecologica europea che certifica che il prodotto sul quale è apposta ha un ridotto impatto ambientale durante tutto il suo ciclo di vita (estrazione e trattamento delle materie prime, fabbricazione, trasporto, distribuzione, uso, riuso, riciclo, smaltimento finale).
Istituito nel 1992 con Regolamento n. 880 della Commissione europea, l?Ecolabel è uno strumento volontario di autodisciplina ambientale per le imprese le quali, per poterne ottenere il rilascio, hanno l?obbligo di sottoporre a severe verifiche di conformità agli standard previsti dal Regolamento (condotte in Italia dall?Anpa, Agenzia nazionale per l?ambiente e dal Comitato Ecolabel-Ecoaudit) i prodotti che intendono ?griffare?. E che devono necessariamente rientrare nelle seguenti categorie merceologiche: lavatrici, lavastoviglie, carta da cucina, carta igienica, ammendanti dei suoli, detersivi per bucato, lampadine elettriche ad attacco singolo e doppio, vernici, t-shirts, lenzuola, carta per fotocopie, frigoriferi, personal computers, materassi. Ma perché dovrebbe rivelarsi conveniente per le aziende scegliere volontariamente di sottoporsi ad una simile istruttoria, peraltro piuttosto lunga ed onerosa? La Commissione europea, tramite l?introduzione dell?Ecolabel, ha voluto imprimere una svolta alle politiche ambientali comunitarie, abbandonando le tradizionali logiche autoritative del tipo ?imponi e fai rispettare? bensì puntando sull?attivazione volontaria di ?circuiti virtuosi? tra pubblico, privato, cittadini: più i consumatori conoscono la ?margherita?, più l?Ecolabel può rivelarsi un efficace veicolo di marketing per le imprese, più queste migliorano l?ecocompatibilità dei loro prodotti, più il soggetto pubblico persegue l?obiettivo della qualità ambientale.
Se questo ?discorso? finora si è rivelato convincente in Francia, Inghilterra, Svezia, Danimarca, non altrettanto può dirsi per Paesi come il nostro dove l?attenzione per l?ecologia sembra solo un gioco di parole. Per avere allora indicazioni utili su come dare un impulso decisivo alla diffusione dell?etichetta in Italia (sino ad oggi adottata da una sola azienda, altre 5 hanno fatto domanda), la Direzione generale XI della Commissione europea ha commissionato una ricerca allo Iefe (Istituto di economia delle fonti di energia) dell?Università Bocconi, da poco terminata. Da essa sono emerse (tra l?altro) due importanti tendenze di fondo: la propensione delle aziende più innovative ad usufruire dei vantaggi legati all?utilizzo di un marchio ecologico autorevole; l?esigenza fortemente avvertita dalle stesse di un soggetto ?catalizzatore?, in grado di favorire i contatti tra i diversi interlocutori tra i quali dovrebbe poi attivarsi il già sottolineato ?circuito virtuoso?.
«L?Ecolabel può rivelarsi uno strumento estremamente valido da un punto di vista commerciale», afferma Sandro Pasquini, responsabile marketing della Cartiera Lucchese S.p.A. (300 miliardi di fatturato, 580 dipendenti), la prima e finora unica azienda italiana autorizzata ad apporre la ?margherita? su alcuni suoi prodotti (la carta igienica Ecolucart a 4 e 8 rotoli), «a patto che l?impresa non debba da sola sostenere tutti i costi necessari a sensibilizzare il consumatore circa la sua significatività».
Dello stesso parere è anche Carlo Vitali, direttore generale della Baldini vernici spa (57 miliardi di fatturato, 110 dipendenti), in procinto di presentare domanda all?Anpa per vernici e smalti a base acquosa: «L?Ecolabel può consentire di realizzare efficaci strategie di differenziazione, ma è inimmaginabile che un?azienda come la nostra possa accollarsi gli oneri della sua promozione in un settore che fattura 1.000 miliardi». Risulta evidente come un impegno del ?pubblico? in tale direzione sia determinante. Tuttavia, nello studio Iefe, si sostiene anche che candidati naturali al ruolo di ?catalizzatori? siano i centri di ricerca, le università, le organizzazioni non profit per la propria neutralità, capacità di stabilire relazioni cooperative con una serie di altri attori, disponibilità ad impegnarsi in iniziative di interesse pubblico. Ancora una volta il Terzo settore ?conviene? agli altri due.
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