11 ap/punti per non essere funzionali alla guerra.
1. L’intervento armato italiano in Siria è iniziato da tempo. Dopo la Russia, l’Italia è stata la principale esportatrice europea di armi e sistemi d’arma a beneficio del governo siriano (per esempio i sistemi di puntamento per i carri armati, usati dal regime contro i civili). Come lo è stata, e in parte lo è tuttora, per la Libia, l’Egitto, la Turchia ed innumerevoli altri Paesi in crisi. Non a caso la multinazionale di Stato che li produce vanta l’ottavo posto al mondo per esportazione di armamenti. E’ il made in Italy che tira. E uccide.
2. Una volta accesi i motori delle portaerei, dei cacciabombardieri e dei droni, con gli appelli – pur importanti ed autorevoli – non si fermano le guerre. Serve un lavoro preventivo per la pace, costante e fondante, non occasionale e contingente. “Se vuoi la pace prepara la pace”, esortava Aldo Capitini. “La pace si afferma solo con la pace”, ribadisce oggi papa Francesco.
3. Del resto la preparazione della pace è l’indicazione della Costituzione italiana: il ripudio della guerra “come mezzo e come strumento”, voluto dai padri costituenti, affida a noi la responsabilità di costruire mezzi e strumenti ad essa alternativi. Così come fa la Carta delle Nazioni Unite, nate per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”, dove sta scritto, “con mezzi pacifici”. L’opposto è una contraddizione in termini, ma vi siamo immersi.
4. Nessuno di questi mezzi e strumenti alternativi e pacifici è stato costituito, nè sul piano nazionale nè su quello internazionale: per esempio non esiste un corpo civile capace di fare prevenzione nei conflitti prima che degenerino in guerre, di dare protezione e sostegno ai movimenti civili e disarmati, di operare una vera interposizione tra le parti nelle fasi acute, di promuovere la riconciliazione nelle fasi successive…
5. Al contrario, l’unico strumento di cui sempre di più (quasi) tutti si dotano è quello armato. Non a caso esattamente un anno fa il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon denunciava la sproporzione assoluta tra spese militari e spese per la Nazioni Unite: dividendo la spesa militare mondiale – di oltre 1.750 mld di euro – per i giorni dell’anno, si ottiene una cifra che, per ciascun giorno, è il doppio del bilancio delle Nazioni Unite di un anno intero! Le guerre, dunque, non sono che profezie che si autoavverano, tanto come degenerazione dei conflitti quanto come tragico e fallimentare tentativo di risolverli.
6. E’ come quel tale che essendosi dotato di un martello come unico strumento per la vita, vede tutto il mondo sotto forma di chiodo. Ma i chiodi piantati dalla cosidetta “comunità internazionale” sono missili che uccidono le popolazioni civili. Cosa di cui non c’è da stupirsi se è vero, come scrive il generale Fabio Mini (che se ne intende), che il complesso militare-industriale internazionale è sempre impegnato a difendere se stesso dalla “minaccia della pace”, anziché tutti dalla minaccia della guerra. Potrebbe essere altrimenti?
7. Anche in Italia. Dove una legge dello Stato prevede, sulla carta, due modelli di difesa in concorrenza tra loro – uno militare ed uno civile – in verità ci troviamo di fronte al fatto che, per mancanza di fondi, nessun volontario civile è partito nel 2013 per un progetto di difesa civile della Patria, mentre si acquistano 90 cacciabombardieri a capacità nucleare e si riammodernano decine di sistemi d’arma che ipotecheranno importanti quote di spesa pubblica per i decenni a venire. Si prepara la difesa o si preparano nuove guerre? Non è difficile rispondere.
8. Allora, se così stanno le cose, qual è la nostra responsabilità, personale e collettiva? Primo, operare un impegno strenuo per il disarmo. C’è stato un tempo in cui “disarmo” era una parola fondante e discriminante, almeno a sinistra. Adesso, che il mondo e il nostro Paese spendono in armamenti molto di più del “picco” di spesa dell’epoca della “guerra fredda”, disarmo è diventata una parola desueta e dimenticata, quasi da tutti. Eppure invocare la pace senza agire il disarmo è pia illusione, se fatto in buona fede, pura retorica, se in malafede.
9. Secondo, urge avviare un profondo ripensamento culturale, ancora prima che politico, su che cosa significa oggi “difesa”, su quali sono le minacce reali dalle quali è necessario difendersi, su quale sia l’autentico bisogno di sicurezza della comunità. Invece sentiamo un ministro della “Difesa” (che sarebbe più onesto ridefinire della guerra) che, senza vergogna, ha lamentato la “depauperizzazione” della difesa proprio il giorno dopo che l’ISTAT aveva certificato la presenza in Italia di 10 milioni di poveri, di cui 5 milioni di poveri assoluti. Il vero tema della difesa, dunque, è che occorre redistribuire le risorse per la guerra a favore della difesa dei cittadini depauperati dalle spese militari.
10. Terzo, costruire le alternative alla guerra: la difesa civile non armata e nonviolenta e la formazione diffusa alla nonviolenza in Italia; i corpi civili di pace in Europa; la riforma democratica delle Nazioni Unite dotate di una legale polizia internazionale, nel mondo. E su queste basi superare definitivamente gli eserciti, riconvertire l’industria bellica, cacciare la guerra dalla storia. Temi da impegno quotidiano, costante e fondante, personale e organizzativo, politico e culturale. Cosa c’è di più importante?
11. Per questo l’appello più giusto è quello da fare a se stessi, perché l’impegno per la pace non sia di risulta. Occuparsi di pace occasionalmente, quando soffiano impetuosi i venti di guerra è troppo tardi, forse scarica le coscienze individuali, ma è del tutto ininfluente. Di fatto, funzionale alla guerra. Come i chiodi al martello.
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