Per capire cosa stia avvenendo in Iraq – e perché – è necessario fare un salto a ritroso di circa undici anni, quando il 19 marzo del 2003 Gorge Bush Jr. dava il via all’invasione dell’Iraq “per la pace nel mondo e per il bene della libertà del popolo iracheno”. Alla quale si accodavano immediatamente i governi inglese (Blair) e italiano (Berlusconi). Bush, Blair, Powell hanno costruito di sana pianta le “prove” del possesso di armi di distruzione da parte del dittatore Saddam Hussain e del suo legame con Al Quaeda per legittimare la guerra del “giovane” Bush. Prove completamente false, una “grande menzogna”, come ormai ampiamente dimostrato, usate come pretesto per invadere l’Iraq manu militari. Una “grande menzogna” come la dichiarazione di “guerra finita” fatta dallo stesso sorridente presidente Bush il 2 maggio di quell’anno, a bordo della portaerei Lincoln.
Oggi un rapporto del National Geographic e della rivista scientifica statunitense Plus Medicine parla di 500milia vittime civili nella popolazione irachena tra il 2003 e il dicembre 2011, quando i soldati statunitensi hanno lasciato il Paese. Da quella guerra, da quei morti, da quella destabilizzazione dell’Iraq, dalla resistenza islamista contro l’invasore americano e il governo sciita amico di Washington è nata fin dal 2004 la jihad sunnita, che oggi – alleata ai fondamentalisti siriani e libici (“effetti collaterali” di altre guerre) e ricettacolo di fanatici da tutto il mondo – sta mettendo a ferro e fuoco intere regioni del Paese, anch’essa “per il bene e la libertà del popolo iracheno e per la pace nel mondo”.
Il 15 febbraio del 2003 – mentre nelle sedi istituzionali internazionali si sciorinavano menzogne a preparazione della guerra – nelle piazze del mondo avveniva un avvenimento senza precedenti: enormi manifestazioni popolari attraversavano le capitali del pianeta per dire no all’invasione bellica, denunciandone l’immoralità e paventandone i disastrosi effetti a catena. 110 milioni di persone, riunite simbolicamente in quella che il Time ha definito la “seconda superpotenza mondiale”, che chiedevano – inascoltate – a Bush, Blair, Berlusconi e soci di fermarsi. La guerra non è stata fermata, anzi continua ancora oggi e – anche se le truppe occidentali non ci sono più – genera gli orrori senza fine che abbiamo sotto gli occhi.
In questi undici anni molto è cambiato nel mondo: Blair è caduto in disgrazia, anche a causa dei quelle menzogne, alla Casa Bianca siede un premio Nobel per la Pace, in Italia governa il leader del Partito Democratico. Eppure nessuno strumento internazionale di intervento nei conflitti, alternativo alla guerra, è stato approntato: non esiste un corpo civile capace di fare prevenzione nei conflitti prima che degenerino in guerre, di dare protezione e sostegno ai civili e ai movimenti disarmati, di operare una vera interposizione tra le parti nelle fasi acute, di promuovere la riconciliazione nelle fasi successive, la stessa ONU è stata svuotata…Invece, le spese militari globali sono inesorabilmente aumentate, come le esportazioni di armi verso il Medio Oriente. Invece, per proteggere le popolazioni civili oggi massacrate si usa lo stesso strumento bellico che ha generato la causa dei massacri, passati e odierni: il presidente Obama manda i caccia a bombardare “i risultati delle guerre americane”, come scrive Tommaso Di Francesco su il manifesto; i governi europei ed italiano si apprestano a rifornire di armi le vittime, ignorado che “i conflitti e le crisi umanitarie non si risolvono inviando armi, ma sospendendo le forniture di sistemi militari a tutte le parti in conflitto e costruendo con impegno soluzioni vere e condivise”, come ricorda Rete Italiana Disarmo
Il movimento per la pace, il disarmo, la nonviolenza, ha capito – anche da questa lezione decennale – che solo con le, pur imponenti, manifestazioni non si fermano le guerre e i massacri, ma che occorre lavorare costantemente e tenacemente per il disarmo e la costruzione delle alternative civili agli interventi militari. In questo senso, in Italia c’è già un appuntamento che – vista la situazione internazionale degenerata in conflitti bellici a tutte le latitudini – assume particolare importanza: a Firenze il 21 settembre Un Passo di Pace. “Vogliamo contribuire a far cambiare passo alle politiche estere dei governi – scrivono le Reti promotrici nell’Appello – a mettere in gioco nuovi strumenti per la trasformazione e soluzione dei conflitti e delle ingiustizie: l’approccio violento e militare, la prevaricazione di gruppi di potere e di interesse si è con tutta evidenza dimostrata una sciagura”. Le Reti chiedono “a chi si è mosso con un lavoro congiunto che ha rinvigorito il movimento per la Pace, per il Disarmo, per la Nonviolenza, per la Giustizia, di continuare la propria azione e di ritrovarsi a Firenze il 21 settembre per una giornata di riflessione, di conoscenza, di mobilitazione e di sostegno del percorso che stiamo costruendo nel solco della strada tracciata con Arena di Pace e Disarmo 2014“. Da dove – e non è un caso – è stata lanciata la Campagna per il disarmo e la difesa civile, non armata e nonviolenta
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