Ieri al Teatro Franco Parenti di Milano è andato in scena un importante momento per la musica italiana. In collegamento Skype infatti il ministro della Cultura, Massimo Bray, ha accolto la petizione lanciata da Stefano Boeri per una legge nazionale sulla musica dal vivo. Il ministro ha anche auspicato che nella stesura del testo il mondo della musica, chi cioè lo compone a tutti i livelli, dagli artisti agli editori, dalle case discografiche ai giornalisti di settore, abbia un ruolo di primo piano, avanzando proposte e idee.
Una bella iniziativa insomma e una grande opportunità. Opportunità che però il “mondo della musica”, o almeno la parte milanese di quel mondo che era riunita al Parenti, non sembra voler o saper cogliere. Il segnale purtroppo è stato molto chiaro. Tanti gli interventi. Alcuni fumosi, altri arrabbiati, altri ancora completamente fuori tema (si è parlato di fare lo sportello unico dello spettacolo del Comune di Milano mentre un Ministro apriva ad una legge nazionale!).
Tralasciando il fatto che tutta l’iniziativa (dalla petizione fino all’incontro virtuale con il ministero) sia venuta dall’intervento di un architetto (Boeri non è più assessore alla cultura a Milano da tempo) che nulla ha a che fare con la musica, (dato questo che dovrebbe far riflettere sulla capacità di questo settore di fare rete e proporre iniziative concrete) vorrei concentrarmi su un tasto più dolente degli altri.
Mai nel corso della serata è stato sottolineato che il problema centrale del suonare in Italia risponda ad un acronimo preciso: Siae. La Società Italiana degli Autori ed Editori.
Un colosso del diritto d’autore diventato ormai un incubo, in particolare per i piccoli musicisti. Che stia lì il nodo principale di tutta la questione è il segreto di pulcinella. Lo sanno tutti. A quanto pare però non si può dire.
Così ho pensato fosse il caso di provare a fare chiarezza. Per cominciare ho contattato Guido Scorza. Avvocato, giornalista pubblicista, blogger e Presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione. Lo studio Scorza Riccio & Partners di Roma è quello che ha seguito professionalmente la causa su cui Siae è stata condannata (da tutti i tribunali nazionali ed europei) per la questione volgarmente detta dei “bollini”. Ma questa è un’altra storia. Ecco cosa mi ha raccontato Scorza.
Guido Scorza
Partiamo dal cuore della questione: in Italia, un musicista non iscritto a Siae può suonare e fare dischi senza mai dover a che fare in qualche modo con Siae?
Da un punto di vista giuridico è possibile. A condizione che il musicista voglia fare tutto da solo. Non si faccia quindi intermediare da nessuno. Se questo artista decide di non avere un agente, di disporre cioè in autonomia dei propri diritti, lo può fare. Se viceversa vuole che qualcuno intermedi i suoi diritti questo qualcuno in Italia non può che essere Siae, perchè ha un monopolio legale. Quindi può suonare, prodursi i dischi da solo e venderli per i fatti propri. La regola fondamentale è che l’artista può vendere direttamente i suoi diritti ma se vuole avere un intermediatore deve affidarsi a Siae, art. 180 della Legge 633 sul diritto d’autore. (Che è del 22 aprile 1941 ndr)
Bene. Per uno che vuole fare l’artista è pensabile non avere intermediari?
No è impensabile. Ti dovresti chiudere in un micromercato geografico e non avresti la forza per raccogliere i diritti dagli utilizzatori. Prova ne è il fatto che di artisti non iscritti a Siae ce ne sono veramente pochi. La Società conta 100 mila iscritti circa. Mi pare una mappatura esaustiva della popolazione degli artisti del nostro Paese.
Posto che tra cavilli e realtà c’è un enorme differenza passimao ad un’altro punto focale del grande tema Siae: i borderò da compilare per le serate live e la ripartizione dei diritti tra gli iscritti. Come funziona il sistema?
Il funzionamento cambia di esercizio in esercizio. In ogni caso la raccolta è sempre forfettaria, sia per i live che non. Siae non si cura della musica che viene effettivamente suonata ma guarda più a questioni logistiche, come numero di pubblico, tempo o metri quadrati dei locali. Il prezzo che l’utilizzatore (organizzatori o proprietari di locali) deve pagare è un costo fisso correlato alle caratteristiche tecniche. Dopo la raccolta ci sono le regole del riparto, cioè le regole che stabiliscono quanto di quello che è stato raccolto nelle diverse sezioni (live, sottofondo, radio, discote,ca etc.) debba essere distribuito e a chi. Bene queste indicazioni vengono stabilite di anno in anno da Siae all’interno del Consiglio di Sorveglianza. Sono criteri che cambiano continuamente. Difficile quindi dire, data una serata, quanto entri in tasca a ciascun autore. Quello che si può dire con certezza è che non è vero, è scritto nelle delibere non lo dico io, che se Siae raccoglie 100 euro ad una serata e sul borderò relativo ci sono segnati 100 brani di 100 artisti diversi, verrà corrisposto un euro ad ogni artista. Questo perchè il criterio è ponderato. Siae infatti fa una proiezione generica che è calcolara anche in base a dati quali il numero di passaggi in radio, la ricorrenza nei borderò stabilita con statistiche a campione e la classifica delle vendite dei dischi. La distribuzione quindi viene fatta in base a quella proiezione. Quindi, per riassumere, non solo la raccolta ma anche il riparto è su base forfettaria, non analitica. Quindi, pur disponendo Siae dei dati per ricondurre a ciascun artista quello che gli compete, i diritti non vengono pagati in modo equo. I motivi sono molteplici. In parte c’è l’indubbia convenienza, dei più grandi all’interno della Siae, che con la complicità di questi meccanismi riescono a guadagnare grandi cifre. In parte per c’è un sistema obsoleto e farraginoso fondato sul borderò cartaceo
Provare a trovare un sistema che non sia del secolo scorso è fuori discussione?
Una soluzione ci sarebbe, ma divide dentro e fuori la Siae. Si tratta delle famose scatole nere. Una specie di Shazam che riconosca e segni tutte le canzoni che vengono proposte e le invii direttamente a Siae.
Fare un semplice form interattivo per la compilazione del borderò accessibile online, mantenendo l’idea dell’autocertificazione?
Si, sarebbe un gran passo avanti. Quello che è evidente è che si debba superare la carta
Anche perchè spesso capita che i borderò siano errati. A quel punto che si fa?
Si tratta di quello che loro chiamano Drn. Ciò che non viene riconosciuto dal sistema Siae. In questi casi vengono pubblicati i titoli errati sull’area associati del sito Siae e vengono invitati gli associati a rivendicarli. Una volta avvenuta la rivendicazione la Società verifica che le richieste siano ragionevoli e attribuisce i diritti. Quello che non viene rivendicato non viene redistribuito e va in cassa. Forse il sistema obsoleto anche in questo caso è conveniente (ride)
Proprio ieri il Ministro Bray ha aperto alla possibilità di fare una legge sulla musica dal vivo. Tanti i cambiamenti che il testo dovrebbe portare. Dalla depenalizzazione del reato di disturbo della quiete pubblica all’introduzione della possibilità di autocertificazione (come le DIA) per spettacoli dal vivo entro 200 spettatori. Si è parlato anche di introdurre una norma che istituisca una categoria specifica per questo settore che si chiami “piccole imprese creative». Insomma un sacco di idee molto innovative. Ma tutto questo abbattere burocrazie e limiti, senza una revisione del funzionamento della Siae, avrà effetti concreti?
No, è assolutamente fondamentale liberalizzare la musica. Anzi è da lì che bisogna partire. Sulla musica dal vivo è più semplice perchè tutti gli attori sono nello stesso spazio fisico. Bisognerebbe pensare ad un sistema per cui l’organizzatore paga direttamente il musicista, se è lui il titolare dei diritti. Altrimenti paga la società titolare di quel diritto. Che deve poter essere italiana o straniera. Senza altri passaggi. Dobbiamo immaginare un sistema nuovo che abbatta il monopolio insensato di Siae.
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