Tornato dalle vacanze estive ecco subito un dono inaspettato. Si tratta del nuovo album dei Marlene Kuntz, “Nella tua luce”.
Un disco sorprendente. Soprattutto dopo la grande delusione di “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”, il loro lavoro precedente, e la zoppicante performance a Sanremo. Come dice il titolo si tratta di un lavoro solare, almeno per quello che riguarda la musica. Ogni traccia è impeccabile dal punto di vista musicale. Ci sono voluti tre anni per poterlo finalmente ascoltare e si sentono tutti.
L’attenzione maniacale al dettaglio, con ogni suono riconoscibile e apprezzabile, si fonde in un senso generale di limpidezza e armonia. Ma forse ad essere veramente punto di forza e architrave del disco sono i testi di Cristiano Godano. Il cantante è tornato ai fasti di un tempo. Non un ritorno nostalgico agli inizi: I MK propongono infatti un disco che è inequivocabilmente loro, ma adulto. Si tratta della loro prima autoproduzione. Il risultato fa sperare che continuino su questa strada. Mai banale, “Nella tua luce” riesce a toccare temi particolrmante insidiosi con grande eleganza e delicatezza (come ad esempio in Adele che racconta di una vittima di stalker). L’immaginario è sempre lo stesso, quello che ha fatto grandi i MK, con la bellezza come musa e tramite di salvezza e il lucido sguardo introspettivo che osserva con pietà rabbiosa la proprià povertà.
Tutto inizia con il “proemio” che dà il nome al disco, appunto “Nella tua luce”. Fortissimo infatti è il legame con l’Odissea che percorre tutte le 11 tracce. Se Omero si riferiva alla Diva, Godano si appella a Clizia (ninfa della mitologia greca, ripudiata dall’amato, il Sole, che viene raffigurata nelle vesti di una fanciulla piangente che si trasforma poi in un girasole). È lei, sempre rivolta alla luce in una speranzosa attesa, il primo soggetto cui Godano guarda, per poi inziare una carrellata di personaggi che lo accompagnano nel suo viaggio musicale.
Da questa preghiera, dolce, lenta e sussurrata si passa subito a “Il Genio” tipica canzone targata Marlene, sin dall’incipit di basso violento ad annunciare le successive schitarrate. Qui il personaggio è Oscar Wilde, citato sia nel titolo che nel testo. Godano si dice come sarebbe bello essere geniale e alto come il poeta inglese, «mi piacerebbe disorientare senza troppo dare peso ai patti col contegno. Se solo avessi il genio…».
Si torna morbidi con una ballata, “Catastrofe”, che forse è il brano più bello e commovente del disco, almeno ai primi ascolti. Il soggetto questa volta è il clochard Joele cui Godano si riferisce direttamente, «Come stai?». Il cantante immagina cosa significhi essere come lui. A metà canzone smette di parlare dierattemente al personaggio e passa all’introspezione. «La mia solidarietà mi nausea perchè è inutile/sterile. Mi domando com’è vedere noi, quando non si è più fra di noi. Osservare noi. Giudicare noi».
La canzone successiva è una dichiarazione d’amore artistica. S’intitola “Osja, amore mio” ed è dedicata al poeta ebreo polacco Osip Emil’evič Mandel’štam e a sua moglie pittrice Nadja Chazina. Un testo intimo che può essere considerato un manifesto per i giovani. Nell’era del “tutto e subito” Godano indica la strada dello studio e dell’impegno per mettere a frutto le passioni. «Tutto imparerò di te, a memoria tutto conserverò… …ogni tua immagine, ogni tua parola pregevole, ogni verso e ogni miracolo, della tua maestà poetica imparerò». Il modo di rendere onore e omaggio ad un maestro sono l’impegno e lo studio.
A questo punto c’è la seconda accelerazione del disco dopo “Il Genio”. È il momento di “Seduzione” altro pezzo più nelle corde tradizionali e dure del gruppo. Si tratta anche della prima delle due interruzioni narrative. Due pause che i MK impongono al racconto e al susseguirsi di personaggi. Godano infatti passa a parlare in prima persona e si riferisce direttamente all’ascoltatore.
Succederà anche due canzoni dopo con “Su Quelle Sponde”. Pezzo costruito sulla linea di basso, assoluta protagonista. Qui Godano guarda alle pene, al dolore e alla fatica come opportunità per «agguantare qualche candida verità», per conoscersi «sempre un po’ più di prima» e per schivare «l’eventualità meschina della mediocrità». Torna anche l’epica omerica con il naufragio. «E ancora io rovinerò su quelle sponde risapute. È vero: non ne morirò. Che cantino o stiano mute. Di certo mi conoscerò».
In mezzo alle due c’è “Adele”, che racconta di una ragazza obbligata suo malgrado a lasciare la propria casa, la propria città, e in qualche modo anche la propria gioventù, «per colpa di uno stalker». Una ballata romantica e dolce. Alla tristezza e ineluttabilità del testo fa da contrappeso una musica gioiosa e ariosa che invece sprizza speranza da tutti i pori. Nel testo Godano canta «tutto è finito ormai, anche la vitalità», la musica da parte sua invece è un inno proprio alla vitalità. Il contrasto è splendido.
Il personaggio successivo è “Giacomo eremita”, l’emblema della vanità. Una canzone minacciosa e aggressiva sia nella musica che nel testo: «se non taci io ti ucciderò».
“Senza Rete” non ha un personaggio esplicito. Ma nella metafora del volo e della caduta, unita ai tanti richiami all’epica greca, sembra di vedere nella filigrana del racconto stagliarsi Icaro. Il simbolo di chi desidera crescere, superando i vincoli, i limiti, riscattandosi ed affermandosi secondo la coerenza assoluta al proprio ideale. Coerenza e ideale che porta a conseguenze tragiche.
“La tua magnifica giornata” è una canzone d’amore. Dedicata ad una donna, chi sia non si sa. Una donna di cui Godano canta «doni felicità», «appari gioiosa e candida» nonostante abbia «un male silenzioso che lacera» e per lei «oggi qualcosa è terribile». Lascio all’ascoltatore l’interpretazione.
La chiusura è affidata a “Solstizio”, primo singolo dell’album lanciato proprio il 21 giugno, per il solstizio estivo. Il pezzo ricorda le atmosfere della cover che i MK fecero di “Impressioni di settembre” della Pfm. Una canzone che rende plasticamente il titolo del disco, rendendo visibile e palpabile la luce accecante del «sole a picco sul mondo» che rende «le cose intrecciate».
Una nota interessante è il collegamento tra il primo capitolo vero e proprio del disco (Il Genio) e la conclusione. Godano all’inzio, invidiando Wilde, canta «avere fede in sé è la priorità. Illimitata e indubitabile, fede, che non sa cosa farsene della convalida della comunità». Il disco si chiude negando tutto. Questa volta Godano parla in prima persona e parla di sé. E, come ragionando ad alta voce, canta «eppure io non sono un’isola completa in sé: sono anch’io nel continente. Ma non sono partecipe, e oggi forse è irragionevole. Sì, forse è proprio irragionevole non essere partecipe».
Un discorso a parte merita la grafica del supporto. Tutta fondata sulle immagini fotografiche, a cura di Simone Cargnoni.
Non ho purtroppo visto il lavoro disponibile nel cofanetto deluxe in cui c’è un vero e proprio book fotografico. Ma il semplice libretto del cd rende l’idea. Tutto il lavoro infatti è concentrato sulla luce. Ha un che di caravaggesco con le fonti luminose sempre al di fuori dell’inquadratura a dare vita e senso alle immagini.
Insomma un vero regalo. Di quelli rari e preziosi. Da comprare, obbligatoriamente.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.