Non profit

Volontari a stelle e strisce. ThankUsa

Un anno dopo. Il bilancio della solidarietà. Il 58% degli americani ha donato soldi. Il 13%, sangue. l’11%, tempo. Ma il non profit ha tradito questa generosità.

di Carlotta Jesi

Se l?11 settembre dell?anno scorso foste stati in America, avreste: speso almeno 150 dollari per le vittime degli attentati, donato una o più sacche di sangue, passato da 8 a 17 ore del vostro tempo ad aiutare gli altri. È la reazione agli attentati che, secondo il centro studi non profit Indipendent Sector, ha avuto, rispettivamente, il 58, il 13 e l?11% degli statunitensi. Numeri schizzati all?improvviso fuori dalle macerie delle Torri Gemelle e del Pentagono che raccontano di un?America inedita. Capace di scrollarsi di dosso la fissa del business is business per servire 343mila pasti caldi e rimuovere 101.106 tonnellate di detriti in meno di due settimane. Assegni da 2,5 miliardi di euro Gratis: è questa la novità per il Paese che non fa niente per niente. E che l?11 settembre del 2001, mentre l?Air Force One del presidente Bush faceva la spola da una base militare all?altra e i mercati crollavano insieme ai palazzi di Wall Street, ha riscoperto il valore della solidarietà. Solidarietà, intendiamoci, che negli Stati Uniti c?è sempre stata: il 44% degli adulti faceva volontariato anche prima di Bin Laden. Ma che valore può avere la gratuità dove vige la regola del «sei ciò che guadagni»? A un anno dagli attentati, la risposta è: 2,4 miliardi di dollari (circa 2,5 miliardi di euro). La cifra donata dagli americani alle oltre 200 organizzazioni non profit scese in campo per aiutare le vittime degli attentati. Dal Liberty Fund della Croce rossa, che da sola ha raccolto 980mila dollari, all?Associazione internazionale dei vigili del fuoco: a fine settembre nel suo quartier generale s?è presentato un pompiere del distretto di Colombia con un sacco che sembrava pieno di mattoni. Erano assegni, per 400mila dollari, che non sapeva dove versare. E la generosità dei cittadini,che un anno fa scorreva al ritmo di tre clic al secondo sui siti Internet delle charity, continua. Parola di Marc Carey, portavoce del World Trade Center Relief: «A giugno di quest?anno le organizzazioni più grandi ricevevano anche 21.500 dollari al giorno». Un mucchio di soldi che in parte, purtroppo, si trovano ancora sui conti delle charity. Ordinari problemi di gestione o sfruttamento della generosità dei cittadini? Alle vittime, solo 29 cent A sollevare la questione, in febbraio, è il prestigioso New England Journal of Medicine: «Meno dell?1% delle 475mila unità di plasma donate sono servite per curare le vittime degli attentati». Una percentuale che scatena il controllo di gestione sui fondi post 11 settembre. A marzo, il quotidiano Chronicle of Philanthropy denuncia che le charity hanno stanziato meno della metà dei fondi raccolti. Ma la vera doccia fredda arriva a giugno, quando il Washington Post denuncia che «solo 29 cent, su ognuno dei 2,4 miliardi di dollari raccolti, è stato dato ai parenti delle persone uccise». Con una smaccata preferenza per le famiglie dei 403 vigili del fuoco morti in servizio: in media hanno ricevuto 1,04 milioni di dollari esentasse, 10 volte più di vedove e orfani delle altre vittime dell?11 settembre. Alle accuse, il September 11th Fund, uno dei 5 grandi fondi (vedi tabella) che da soli hanno catalizzato il 64% delle donazioni, risponde che la lentezza è in parte giustificata dalla difficoltà di stabilire chi ha diritto ai fondi. «L?amante di un nuovo d?affari ha gli stessi diritti della moglie?», ha spiegato uno dei gestori del fondo al quotidiano Usa Today. «Alla fine abbiamo stabilità che, se può provare di dipendere finanziariamente dal defunto, la risposta è sì. Ma non è stato facile trovare un criterio». Quanto al denaro che ancora resta da versare, 301mila dollari su una raccolta di 493 mila, al September Fund rispondono così: «Vogliamo tenere conto delle esigenze di lungo periodo delle famiglie». Ombre anche sui fondi lanciati dagli artisti, come il Robin Hood Relief Found: 59 milioni di dollari raccolti il 20 ottobre sul palco del Madison Square Garden da Bono Vox, Mick Jagger e Paul McCartney. A un mese e mezzo dal concerto, sul conto restavano ancora 36 milioni di dollari. Oggi: sempre 36, scopriamo sul database online, creato dall?organizzazione non profit Better Business Bureau, di tutte le charity che hanno raccolto fondi dopo l?11 settembre. Il suo sito Internet, www.give.org, è sicuramente il posto migliore per fare un bilancio numerico sull?anno più difficile della solidarietà a stelle e strisce. Ma ancor più interessante è chiedersi se il non profit americano ha vinto la sfida lanciatagli un anno fa dal sociologo Robert Putnam: «Dopo l?11 settembre, per il Terzo settore s?è aperta una straordinaria opportunità di cambiamento. Riuscirà a coglierla?». Per scoprirlo conviene seguire la via indicata dalla ricercatrice Susan Raymon sul portale www.onphilanthropy.com. «Subito dopo gli attentati, una bambina di 7 o 8 anni si è infilata il suo costume irlandese e ha cominciato a ballare in strada per raccogliere soldi. Chissà se quando avrà 37 o 38 anni avrà dentro di sé la stessa urgenza di fare qualcosa per gli altri?». Come dire: il senso della gratuità, e la voglia di fare oltre che di donare, s?è davvero radicata nel cuore degli americani? I dati sull?aumento di volontari negli Usa, per il momento dicono di sì. Secondo lo studio Giving and Volunteering dell?Indipendent Sector, dall?11 settembre i giovani sono la generazione più socialmente impegnata nella storia degli Stati Uniti. Oggi fa volontariato il 5,9% dei teenager. E gli adulti non sono da meno: in 18mila, da gennaio a marzo, hanno chiesto di entrare a far parte dei FreedomCorps, il nuovo corpo di volontari lanciato dal presidente Bush. A un anno dall?11 settembre, forse non siamo più tutti americani. Ma tutti volontari, gente normale capace di tenere in piedi un Paese, sì.


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