Cultura

«Look up here, I’m in heaven»

di Lorenzo Maria Alvaro

David Bowie è morto. E nonostante i fiumi di post, tweet, commenti e contributi la verità è che non ci sarebbe nulla da aggiungere. Oggi, e per tutti i prossimi giorni, sarà un fiorire di canzoni pescate dal passato, dalle più famose a quelle più ricercate.

Un’ondata di parole che sarebbe meglio non ci fossero. Non perché non sia giusto che venga omaggiato uno dei più grandi artisti contemporanei, tra i più grandi di tutti i tempi. Ma perché se c’è una cosa che Bowie ha sempre fatto è parlare atraverso la musica. Prova ne è il fatto che è la prima volta, almeno a memoria mia, che un artista esce con un album (Blackstar) due giorni prima di mancare.

Un album pazzesco, un album che è già candidato ad essere tra i migliori del 2016. La sua morte è stata un fulmine a ciel sereno quasi per tutti, perchè nessuno sapeva che fosse malato. Per Bowie ha sempre parlato la musica appunto, e anche oggi è così. Nessuno spazio per chiacchere inutili, pettegolezzi, gossip o autocelebrazioni.
Per questo credo che l’unico commento intelligente possa essere ascoltare il singolo di lancio del disco, Lazarus, e poi andarsi a comprare l’album. Senza dire nulla. Senza aggiungere niente
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