Prometeo scatenato

di Alberto Olivari

Prometeo, figlio di Climene e Iapeto, il titano che all’alba della storia, all’origine dell’era, donò il fuoco ai mortali. Sfidò l’autorità di Zeus, che da poco era salito sul trono degli dèi. Zeus era stato molto chiaro: non voleva che gli uomini, ancora in uno stato larvale – Pandora, Tuttadono, la prima donna, sarebbe giunta successivamente – possedessero il fuoco. Per invidia? Per paura delle loro potenzialità? Perché l’imperfezione è l’unica perfezione possibile?

Prometeo, Colui che capisce prima, aveva un’altra idea: gli uomini avrebbero avuto gli strumenti adatti per agire in libertà. E lui glieli avrebbe procurati. Si intrufolò nella fucina di Efesto, rubò il fuoco e con esso tutte le arti: quelle che dominano la natura, che trasmettono il sapere, che conoscono il reale, che prevedono il futuro. La mossa a Zeus non piacque affatto. La colpa di Prometeo? Essersi opposto a tutti gli dèi del cielo e della terra che non riconoscono la coscienza umana come suprema divinità.

Lo condannò alla pena più dolorosa mai inflitta: incatenato ad una roccia nel Caucaso, ogni giorno un’aquila gli avrebbe roso il fegato, che sarebbe ricresciuto durante la notte successiva. Zeus è Zeus e il re degli dèi acciuffa chi gli pare. Ma se Prometeo fosse riuscito a scappare, che fine avrebbe fatto? Si sarebbe dato alla macchia, rifugiandosi chissà dove, come qualunque banale fuggiasco? Non credo. Me lo immagino di più in un villaggio della Tessaglia, ai piedi dell’Olimpo, pronto ad aiutare chi ne avesse avuto bisogno, teso ad ascoltare chi gli avesse chiesto un po’ di tempo. Sempre attento, rispettoso, cordiale, disponibile, deciso.

Preferisco pensarlo con una corona d’alloro sul capo, come un campione olimpico, premiato dagli stessi a cui aveva portato il simbolo della conoscenza. Premiato per aver donato agli uomini l’opportunità di essere se stessi.

Scintille, fuoco, vivacità che arde.


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