Famiglia
La montagna dei bambini perduti
Vivono a 5000 metri,soffrendo fame e freddo.Ogni giorno si infilano in miniera,trascinano sacchi da trenta chili, trascorrono ore in pozze piene di mercurio.
di Luis Gomes
Quando cinque anni fa gli addetti al censimento peruviano salirono sulle Ande a La Rinconada, la città delle miniere d?oro, i loro moduli non bastarono: a 5.400 metri trovarono 30 mila persone, adulti e bambini. Tutti affamati, al freddo, senza elettricità, senza ospedale né una sola latrina. Tutti che sgobbavano in miniera come bestie. Gli impiegati promisero di tornare, ma non si fecero più vedere.
Al loro posto è arrivata la Coca Cola, e ora il vento tagliente spinge le bottiglie di plastica vuote sulle tombe nel cimitero, ai bordi del ghiacciaio Ananea. Qui riposa chi ha avuto la fortuna di non restare sepolto per sempre sotto una galleria crollata, dove brillano milioni di chispas, frammenti d?oro nascosti in ogni roccia. Sono 1600 gli ettari di speranza per chi cerca il tesoro della vita. Come riuscì a Feliciano Huanka, che in un solo giorno trovò un chilo d?oro e ne ricavò 10 mila dollari. Una storia che gli uomini non finiscono mai di raccontarsi.
Nestor ha 8 anni e arrivò quassù tre anni fa, con la famiglia, dopo aver superato villaggi distrutti dai terroristi di Sendero Luminoso. Trovò lama che non sollevavano neppure il muso dalla cloaca in cui pascolavano, e nuovi compagni di gioco che si picchiavano per l?oro. Ora anche Nestor picchia: «Perché gli altri mi rubano tutto», dice. Solo di notte apprezza la vicinanza degli esseri umani. A 26 gradi sotto zero, fra la lamiera, dodici persone strette in dieci metri quadrati si scaldano meglio.
La giornata comincia masticando coca. Nestor trova le foglie schifose, amare. Ma tutti a La Rinconada, che significa ?angolo di strada?, le masticano. «Si sentono meno fame e freddo», dice Nestor. Poi si mette al lavoro con un pesante maglione e scarpe di tessuto lacere. Più su, a 5700 metri, trascina fuori dalle gallerie sacchi con 30 chili delle pietre che il padre e altri minatori hanno staccato dalle pareti. Le piccole pietre si chiamano desechos, ?ritagli?. Nestor li porta in una pozza con una soluzione di mercurio, le frantuma su una grossa pietra rotonda finché oro e mercurio si uniscono in una pallina di amalgama. Quattro soles, un dollaro, riceve da suo padre per il lavoro di una settimana. A volte compra da un ambulante del pane, o un?arancia. La madre cucina solo di sera una minestra: acqua, patate, pezzetti di carne secca di lama. L?acqua la si deve comprare da un venditore; dieci litri per un dollaro. I rivoletti del ghiacciaio infatti sono troppo contaminati dal mercurio. L?acqua è cara, e così quasi sempre Nestor va a letto sporco, senza lavarsi.
Mille bambini vivono e lavorano a La Rinconada. Trascinano pietre, frantumano desechos. E, benché vietato, i più piccoli strisciano nelle strette gallerie per mettere le cariche di dinamite. Nessuno controlla che vadano alla piccola scuola malandata, e quasi sempre chiusa. Nella città dell?oro il 60 per cento delle persone è analfabeta.
Marcello Carossi sa leggere e scrivere, ma ciò non gli serve. Ha 15 anni e solo da due mesi è arrivato da Azangaro. «Là era più caldo. Avevo degli amici. E aria a sufficienza. Ora ho solo mal di testa». La scorsa notte Marcello è stato in piedi dodici ore nella pozza di mercurio. Vuole tenere duro un anno e poi continuare la scuola. «Ma ho bisogno di 300 dollari all?anno». Marcello lavora per il locatario di una delle 400 miniere. È pagato come gli adulti: per 30 giorni senza compenso, poi ha due giorni liberi, e allora tutto l?oro che trova può tenerlo. Ecco il suo stipendio. Cachorreo si chiama questo sistema, senza contratto, né mutua o contributi.
I compratori pagano l?oro da 9 a 10 dollari al grammo. Ma a volte un lavoratore nei giorni liberi per mesi non ne trova nemmeno un decimo. «Ci trattano malisimo, lavorare qui è mortale» dice il padre di Nestor, don Anselmo. «E non si può neppure paragonarlo all?inferno, freddo com?è».
«Che se ne vadano pure, se non gli va bene», dice il portavoce dei locatari, Isidro Cenzano Flores. «Io non costringo nessuno a restare». Tuttavia chi viene a La Rinconada, non se ne può allontanare facilmente. Fa debiti per la coca, per l?acqua potabile, per l?attrezzatura. E per la birra. Fu lo zio di Isidro, Tomas Cenzano Caceres, che nel 1940 scoprì l?oro a La Rinconada. Grazie al cachorreo ha guadagnato milioni di dollari. Oggi ha 83 anni e definisce «bontà della natura» ciò che un giornalista peruviano ha denunciato come «il peggiore sfruttamento degli uomini da parte degli uomini».
Isidro paga allo Stato 2500 dollari di concessione all?anno, e ottiene 250 chili d?oro al mese dalle sue gallerie. A chi lo venda e a quale prezzo non interessa a nessuno, nella capitale Lima. E Isidro tace. Solo in dicembre due parlamentari hanno sollevato il problema La Rinconada, stigmatizzandone le «inumane condizioni di vita e di lavoro». Così, sotto la pressione del ministero delle miniere, ora i locatari hanno fondato una società e si parla di contratti di lavoro, di moderne macchine per l?estrazione. Ma chissà quando…
Per i bambini non cambierà molto. Se Nestor trasporta le pietre, le autorità parlano di «lavoro familiare». «Non abbiamo speranze», dice rassegnata Ana Maria Yanez, presidente del Comitato nazionale per il lavoro minorile. «Il lavoro dei bambini è contro la legge ma nelle Ande è tradizione che i piccoli contribuiscano a sostenere la famiglia, lavorando nei campi o con le bestie. È difficile convincerli che il lavoro in miniera è barbarie per i bambini, quando l?alternativa è la fame».
Pochi bambini riescono a vivere a La Rinconada senza riportare gravi danni: disturbi della crescita, avvelenamento da mercurio. E mal di montagna: il sangue diventa spesso e il cervello non riceve abbastanza ossigeno. Ma altrove non va molto meglio: 4,3 milioni di bambini peruviani lavorano nelle città, il 20 per cento della popolazione. Nessun governo di Lima ha mai firmato la convenzione per la protezione dei bambini dell?Organizzazione internazionale del lavoro. Il presidente Fujimori ha invece emanato nel 1992 una legge che permette il lavoro minorile dai 12 anni. Per evitare, era l?idea, che i bambini scivolino nella criminalità per sopravvivere. E i tremila ragazzi e ragazze della cattolica Manthoc, il primo ?movimento di bambini e ragazzi lavoratori? in Sudamerica, lottano non contro il lavoro, ma per un lavoro più umano. I loro delegati di 12, 13 e 14 anni si incontrano due volte all?anno a Lima, fra risate e accese discussioni. «Con il Manthoc ho imparato a non sentirmi una bestia», spiega Lenin, 15 anni. «Il pomeriggio lavo le macchine e posso frequentare la scuola al mattino». Miriam, 14 anni, vende braccialetti: è la delegata nel distretto andino di Puno. Le miniere a La Rinconada le conosce bene. Lì ogni anno aiuta lo zio, nelle vacanze natalizie; lui le paga quaderni e libri per la scuola. Però Miriam non vuol più farlo, teme il freddo ed il mercurio. «Lassù non è un posto da bambini», dice.
A Lima abita Tomas Cenzano, l?ormai vecchio fondatore della misera città dell?oro. «I miei figli mi hanno sempre aiutato», dice. «Per i bambini è meglio aiutare nella miniera che gironzolare per casa». Nella sua villa coloniale spagnola il vecchio sa come offuscare la realtà. Lassù il nipote Isidro fa il suo lavoro sporco e a lui resta tempo libero per pensare il suo ultimo grande progetto: una località di vacanza di lusso vicino al ghiacciaio, con un hotel a cinque stelle che consenta a turisti avventurosi di cercare l?oro.
«Ma che cos?è un hotel?», chiede Nestor con l?ingenuità dei suoi otto anni. «Cos?è un turista?». Le sue mani oggi gli fanno particolarmente male. I geloni sono scoppiati e domani lui dovrà di nuovo trascinare pietre. Anche Nestor ha un progetto: vorrebbe diventare insegnante, un giorno. «Però solo per bambini molto piccoli. È importante che siano piccoli. Altrimenti non fanno quello che si vuole».
Il ?Social Label? ora diventa realtà
Due anni fa l?Aimpes (l?associazione che riunisce le imprese di pelletteria) e i sindacati firmarono un accordo contro il lavoro minorile. Ora l?accordo entra in fase operativa: una commissione paritetica avrà la funzione di monitoraggio e controllo del rispetto delle norme. Verrà realizzato un sigillo di qualità, un ?Social Label? che contraddistinguerà le aziende che in nessuna fase della lavorazione sfruttano il lavoro minorile. Le aziende che firmeranno l?accordo accetteranno anche la possibilità di ispezioni senza preavviso non solo negli stabilimenti che controllano direttamente, ma anche presso fornitori e subfornitori. Al momento hanno firmato aziende come Gucci, Mandarina Duck, Biasia, Bric?s, le imprese del Consorzio centopercento italiano e Redwall. La parte più difficile riguarderà le verifiche in Estremo Oriente e nel continente indiano, dove si dovrà ricorrere alla collaborazione di sindacati stranieri, ong e società di certificazione con cui sono stati già presi contatti. I sindacati puntano a firmare anche altri accordi, così che nei negozi italiani siano sempre più segnalati dal marchio ?Social label? i prodotti che non sono stati realizzati da piccoli schiavi.
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