NON PROFIT: “Ribellati!!”

di Elena Cranchi

Leggo sempre con grande attenzione, cadenzata da altrettanti grandi sbadigli, i consigli, gli articoli, gli aggiornamenti e regole sul Fundraising. Sono allergica, come scrissi in un precedente post, non al nostro Mondo ma all’oceano d’ipocrisia che lo bagna. Più leggo i giornali, più guardo la televisione e più sprofondo, non nello sconforto, ma nella più vera e greve indignazione.
Mentre noi cerchiamo di capire come infondere Fiducia ai presunti o futuri sostenitori, la Cultura collettiva e individuale etichettano la beneficenza come “vocazione”, “roba da religiosi”, “scelta” libera e non, come dovrebbero, atto doveroso.  Il Non Profit viene raccontato quando, e se, “avanza” uno spazio.
I media (tutti tranne Vita e non lo dico per piaggeria ma per onore della verità) prediligono i “tradimenti” dei Vip ai “bisogni” dei Nip, i “goal” ai successi ottenuti nei buchi neri sociali di questo Paese, le “passerelle” ai diritti calpestati, si soffermano sui “poveri” bagnanti di Forte dei Marmi, cotti dal sole, invece che raccontare la mancanza di prevenzione sui disastri naturali che mietono migliaia di vittime.
E noi del Non Profit?
Noi non facciamo nulla. Abbiamo paura di prendere posizione. Meglio l’omertà, il silenzio, accontentarsi delle briciole gettate sui nostri piatti: “Non si sa mai… e se  ci togliessero anche quelle?”Di fronte ai soprusi (perché di soprusi si tratta) preferiamo la genuflessione e indirizziamo rabbia e attenzione sugli altri abitanti del Pianeta Non Profit. Ci guardiamo in cagnesco cercando di copiarci a vicenda modalità comunicative, campagne, spot, esultiamo quando conquistiamo una “fetta di mercato” più ampia (tradotto: n.di sostenitori o denaro), quando ci accaparriamo il testimonial dell’altro o se veniamo scelti dall’azienda più forte.
Facciamo i criceti nella gabbia delle “cose da fare”, “da dire”, correndo sulla ruota dei DM, delle newsletter e chi più ne ha più ne metta.

Siamo impegnati a combattere la guerra tra poveri, per i “poveri”.
Un paradosso.

Non ci rendiamo cotto che dobbiamo smettere di guardarci l’ombelico e alzare la testa, unirci e combattere contro chi ci tiene in un angolo.
Dobbiamo allearci e non parcellizzare i nostri interventi. Lo dobbiamo fare all’interno delle Associazioni in cui collaboriamo. Lo dobbiamo fare con tutte le altre Associazioni che condividono la ricerca del profitto come sostegno per chi è in difficoltà.
Perché la cultura del profitto è vincente rispetto alla nostra. Non c’è niente da fare.
Quindi: non basta investire su cosa fare e come farlo. Dobbiamo partire dal “perché” e lottare affinché venga raccontato e spiegato.
Infatti, mentre noi ci ostiniamo a mostrare bambini con la pancia gonfia e le lacrime agli occhi, la televisione ci parla del dramma del bambino a cui la madre ha negato l’I Phone 5, il biscotto del Mulino Bianco, la Coca Cola.
Mentre noi comunichiamo il dolore reale, esistente e senza speranza, i Tg riprendono il dolore e le lacrime delle fans di Violetta o la disperazione dei tifosi della squadra che ha appena perso il derby.
Mentre noi mostriamo immagini delle vittime della Guerra siriana, ci viene raccontato, con nonchalance, l’iter delle armi chimiche per la loro distruzione.
Mentre noi difendiamo i diritti degli ultimi, la Politica fa scorrere tempo e denaro (il nostro), per difendere i propri e quelli delle lobby.
Mentre noi parliamo di rivoluzione culturale, la classe politica e i suoi “illuminati” manager collezionano avvisi di garanzie, scandali, comportamenti non etici.
Siamo tutti bombardati da messaggi dicotomici che fanno, della nostra generazione e di quelle a venire, corpi in cui bene e male si confondono e diventano la stessa cosa.
L’abominio sfocia in satira e l’occuparsi dell’altro in pietismo.
Satira e pietismo però non bruciano anima e cuore, non fanno muovere le persone. Ti lasciano tranquillamente adagiato sul divano a dire “Cosa volete da me?”.
E io questa domanda la giro così: “Niente. Non preoccuparti ma cosa vorresti tu da NOI, se fossi in difficoltà, solo, malato, disabile?”. Non è forse vero che ci interessiamo alle cose solo quando ci piombano addosso? Siamo colpiti dal cancro? Ci interessiamo alla malattia. Siamo violentate? Ci interessiamo alla violenza. Quindi alzatevi da quel cavolo di divano e ribellatevi anche voi perché se il Terzo Settore è in realtà “Ultimo” non è nemmeno colpa vostra. Siamo tutti vittime di un male che sembra incurabile ma che si tramanda di generazione in generazione.
Esagero? Non credo e provo a dimostrarlo.
Quanti di voi hanno giocato e poi regalato Risiko e Monopoli ai propri figli?
Non sarebbe stato tutto diverso se invece di conquistare Paesi e costruire palazzi e alberghi si fosse potuto:
“combattere” per portare medicine, cibo, acqua, diritti nei Paesi
– Usare ambulanze invece dei carri armati
– Conquistare Diritti invece di Paesi
Costruire scuole, ospedali, comunità di accoglienza
– Prendere la Carta dei Bisogni invece di quella degli Imprevisti
– Prendere la Carta delle Opportunità invece di quella delle Probabilità
– Mettere in prigione, senza passare dal Via i disonesti.
e infine vincere solo quando si rende libero un Paese da fame, povertà, ingiustizie?

La Cultura del profitto ha radici lontane. Penetra nei bambini e fa credere loro che sia tutto un gioco.
Quei bambini cresceranno pensando “Cosa volete da me? Lasciateci sul divano!”

Forse dovremmo iniziare a ribellarci.

Penso proprio di sì.

 

 

 

 

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