Ricevo dall’ufficio stampa del CNR un comunicato che mi colpisce. Il titolo è “Con la corsa nuove cellule staminali nel cervello”. Premetto che da un paio d’anni mi alleno quasi tutti i giorni. Tra due settimane correrò la maratona di Roma, la mia quarta. A quasi cinquant’anni non ho nessuna velleità competitiva, anche se pur di migliorare il personal best mi impongo massacranti serie di ripetute e mi butto giù dal letto alle sei e mezza del mattino, con tutte le condizioni climatiche.
Chi te lo fa fare, mi chiedono in tanti. Rispondo che corro perché mi fa stare meglio, perché mi piace, perché posso mangiare quanto voglio o perché non ne posso più fare a meno, causa dipendenza dalle endorfine. In quell’ora, mentre il sole sorge e la città si mette in moto, mi capita anche di mettere ordine ai miei pensieri, di chiarirmi le idee o di farmene venire di nuove.
Non arrivavo, però, a pensare che il running mattutino servisse anche a rigenerare il mio sistema nervoso. Troppa grazia! Invece pare che sia davvero così. Una ricerca fatta sui topi dall’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma e pubblicata sulla rivista Stem Cells ha dimostrato per la prima volta che la corsa è in grado perfino di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali, che migliorano le capacità mnemoniche.
A parte la soddisfazione del sottoscritto, come runner e come sostenitore della ricerca italiana, in particolar modo di quella sulle cellule staminali (capito Vannoni?), la notizia potrebbe essere importante perché apre nuove prospettive nell’ambito della medicina rigenerativa del sistema nervoso centrale e quindi in malattie come Alzheimer o Parkinson.
Tutti a correre insomma, e chi non ne ha voglia si impegni almeno per far correre la ricerca…
Di seguito il testo del comunicato.
“Con la corsa nuove cellule staminali nel cervello”
La scoperta firmata Ibcn-Cnr e pubblicata su Stem Cells smonta un dogma della neurobiologia, dimostrando per prima volta che la perdita di cellule staminali neuronali durante l’età adulta è un processo reversibile. Lo studio apre nuove prospettive nell’ambito della medicina rigenerativa del sistema nervoso centrale
Che l’esercizio fisico giovi non solo al corpo ma anche al cervello, grazie alla produzione di nuovi neuroni, è cosa nota. I ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma hanno però dimostrato per la prima volta che la corsa è in grado perfino di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali, che migliorano le capacità mnemoniche. Lo studio è pubblicato sulla rivista Stem Cells.
“Questa ricerca ha scardinato un dogma della neurobiologia: finora si pensava che il declino della neurogenesi nell’età adulta fosse irreversibile”, spiega Stefano Farioli-Vecchioli dell’Ibcn-Cnr, coordinatore dello studio. “Con il nostro esperimento, lavorando su un modello murino con deficit neuronali e comportamentali, causati dalla mancanza di un freno proliferativo delle cellule staminali (il gene Btg1), abbiamo invece constatato che nel cervello adulto un esercizio fisico aerobico come la corsa blocca il processo di invecchiamento e stimola una massiccia produzione di nuove cellule staminali nervose nell’ippocampo, aumentando le prestazioni mnemoniche. In sostanza la neurogenesi deficitaria riparte quando, in assenza di questo gene, si compie un’attività fisica che non solo inverte totalmente il processo di perdita di staminali ma scatena un’iper-proliferazione cellulare con un effetto duraturo”.
Lo studio, realizzato nel laboratorio diretto da Felice Tirone che da anni studia alcuni meccanismi molecolari che regolano i processi di proliferazione e differenziamento nella neurogenesi adulta, in collaborazione con Vincenzo Cestari dell’Università La Sapienza, apre nuovi scenari nella medicina rigenerativa del sistema nervoso centrale.
“La scoperta pone le basi per ulteriori ricerche mirate ad aumentare la proliferazione delle staminali adulte nell’ippocampo e nella zona sub ventricolare. I risultati avranno delle implicazioni molto importanti per la prevenzione dell’invecchiamento e della perdita di memorie ippocampo-dipendenti”, conclude Farioli-Vecchioli. Per quanto riguarda le patologie neurodegenerative, “le potenzialità terapeutiche di queste cellule sono davvero ampie, anche se a breve termine non possono scaturire terapie mirate. Il prossimo passo sarà validare la scoperta su altri modelli murini con malattie quali Alzheimer, Parkinson oppure in cui un evento ischemico abbia provocato un’elevata mortalità neuronale, isolando e trapiantando le cellule staminali iper-attivate”.
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