Non profit

Per un’economia fondata sul dono

Consulente del mondo finanziario che conta scopre il non profit come espressione della libertà individuale e sociale.

di Gabriella Meroni

L’ultima – illustre – vittima del fascino sottile del Terzo settore è lui, Geminello Alvi, 43 anni, studioso di economia, editorialista dell?Espresso e Repubblica, da sempre ascoltato consulente del mondo bancario che conta (da Bankitalia alla svizzera Bank for International settlements) e oggi anche direttore di un centro studi (Kaspar Hauser, vedi box) su ciò che non è Stato e non è mercato ma ha rilevanza economica e culturale. In poche parole, il Terzo settore. Un percorso non tra i più comuni, il suo, che tra pochi giorni lo porterà a essere tra i protagonisti di un convegno dal titolo significativo ?… e non ci fanno volare? dedicato all?effetto tarpa-ali che la legge Onlus del ministro Visco ha provocato sul mondo del non profit. Abbiamo voluto sentire la sua voce di osservatore di un universo cui è approdato negli ultimi anni, per capire dove sta andando la cosiddetta economia civile, che mai come in questo periodo sta attirando l?attenzione del gotha accademico italiano e internazionale. Quasi fosse la vera novità dei prossimi, fin troppo celebrati anni 2000. Così attacchiamo: professore, anche lei folgorato dai problemi del Terzo settore? Insomma, come ci è arrivato? «Ci sono arrivato da uomo, da persona che vede e vive e a un certo punto capisce l?inadeguatezza degli schemi consueti» risponde Alvi. «La biarticolazione tradizionale Stato-mercato non funziona più, quindi occorre riconoscere un altro elemento, cioè il Terzo settore. Il mio percorso non è poi tanto strano: il fatto è che l?uomo riunifica in sé tutti campi della vita. Non esiste l?uomo solo economico così come non esiste l?uomo ?politico? né l?uomo ?culturale?. Sono dei mostri». Una consapevolezza che sembra aver colto molti suoi colleghi economisti. Escludendo che si tratti di una moda passeggera, quali sono le ragioni che hanno determinato il trend? Gli economisti si sono resi conto che né lo Stato né il mercato sono sufficienti a risolvere adeguatamente certi problemi e si comportano di conseguenza, allargando il campo degli studi. Ma ciò che molti economisti scrivono è talora sbagliato; perché si parte dal presupposto che l?economia sia una realtà solo mercantile, e in questo quadro si inseriscono anche le attività del Terzo settore. Qual è la peculiarità del Terzo settore, invece? È il dono. Che a sua volta è un vero e proprio atto economico almeno quanto il tornaconto, pilastro dell?economia mercantile. Per questo partire dall?idea del tornaconto e dei calcoli utilitaristici per considerare il Terzo settore è sbagliato, occorre considerare l?atto economico del dono come fondamentale e importante tanto quanto gli altri. Altrimenti l?analisi economica non è corretta, o per lo meno incompleta. Molti contestano la stessa definizione di Terzo settore, considerandola residuale. Anche quanto ai nomi, dunque, non ci si capisce granché… Non trovo che Terzo settore sia una definizione sbagliata. In fondo esiste in questo campo una ragion d?essere completamente diversa da quella che muove Stato e mercato. Esistono cioè un insieme di atti umani impossibili da attuarsi secondo moventi mercantili o obbedendo ai criteri puramente amministrativo-burocratici dello Stato. Siamo di fronte a qualcosa d?altro che non può essere vincolato né a criteri di tornaconto né a vincoli o obblighi burocratici: è la libertà del Terzo settore, quella che determina o dovrebbe determinare la scelta dei cittadini in campi quali la scuola, la sanità, i servizi alla persona… ci sono tanti ambiti della vita che rientrano nel Terzo settore e non negli altri due, quindi parlare di settore ?terzo? non mi pare affatto male anzi è prendere atto di una diversità. Trova che questa diversità sia sufficientemente riconosciuta nel nostro Paese? No, siamo di fronte a un tentativo di considerare, questa volta sì, residuale il Terzo settore ma per motivi che nulla hanno a che vedere con la definizione. Il problema è che si tende a pensarlo sempre ?incastrato? tra sponsor venali e vincoli fiscali dello Stato, e questo non è giusto, ovvero è un modo per occultare la diversità del Terzo settore e non riconoscergli autonomia. Colpa dello Stato e del mercato? Lo Stato e il mercato tendono a corrompere il Terzo settore attaccandogli i loro difetti di parassitismo e ambiguità. Si vuole sfruttare il Terzo settore per trarne un tornaconto o legarlo a criteri mercantili, oppure si soffocano e vincolano con leggi sbagliate molte iniziative e forme della società. Così si snatura il Terzo settore contagiandolo con mali tipici di Stato e mercato. Che origini ha questo mancato riconoscimento, e perché è così difficile da contrastare? Lo Stato è molto forte perché da Napoleone in poi si è costituito come accentratore di tutto, potente controllore di ciò che si muove nella società; il mercato dal canto suo diventa dominante dopo la rivoluzione industriale obbedendo a precisi moventi dell?epoca. Il Terzo settore però non deve sentirsi inferiore perché è legato a moventi non meno importanti degli altri, anzi: lo Stato solido e l?economia florida sono decisivi, ma la libertà di scelta e l?organizzarsi autonomo della società lo sono forse di meno? È meno importante la cultura? Storicamente si sono fatti tanti errori in nome di una dialettica ristretta solo a Stato e mercato. Pensiamo alle grandi rivoluzioni: il loro dramma è non aver dato alla società forma diversa da quella statuale o mercantile. Se la rivoluzione russa avesse affidato la cultura a delle libere fondazioni, guidate da grandi intellettuali invece che a un ministero statale, la Russia non sarebbe finita così male. E da noi, nel Dopoguerra, se avessero ascoltato don Sturzo ed Einaudi che proponevano un sistema scolastico pubblico ma non statale avremmo una scuola certamente migliore. Ma non sarà troppo tardi per cambiare, ora? Non è troppo tardi per ripensare la società sulla base di un Terzo settore che non è più un fatto episodico ma un movente profondo al pari degli altri. Non siamo più di fronte all?hobby di qualche boy scout: oggi il Terzo settore ha assunto una dignità nuova, non più da soccorritore di Stato e mercato. Ma forse non lo si vuole capire perché si ha paura di quella libertà che il Terzo settore esprime per sua natura. Chi ha paura della libertà? Ci può fare un esempio? Lo Stato ad esempio, con la legge fiscale. Una normativa fatta guardando indietro, a un periodo in cui lo Stato diffidava del Terzo settore e della società. Come del resto ne diffida ora e per questo ha varato un insieme di norme che non hanno il coraggio di cambiare. Si è voluto fare un lavoro strettamente fiscale quando invece si poteva riconoscere la novità, e si è fatta questa scelta per una miopia colpevole, dettata dal fatto che i nostri governanti ragionano ancora in un?ottica di Stato che pianifica e provvede. Una logica sospettosa, anche, per cui tutto ciò che viene dal basso è guardato con malcelata diffidenza. Perché infatti non si è voluto collegare la 460 alla normativa sulle fondazioni bancarie? Lo si capisce solo pensando alla politica e agli interessi del mercato e dello Stato, non certamente a quelli del Terzo settore. Chi deve fare lo sforzo di un riconoscimento, lo Stato o il mercato? Ambedue. Si tratta di capire che il mondo non è più quello dell?Ottocento ma neanche del Novecento. L?intrusione dello Stato è fallita ovunque, nell?economia così come nella cultura, ma non per questo bisogna lasciare tutto all?economia e al mercato. Sarebbe grottesco. Ve l?immaginate un mondo tutto sponsor, una scuola con le pubblicità dei lavandini o dei detersivi alle pareti? Eppure è qui che finiremo se non si riconoscerà una effettiva diarticolazione sociale, ovvera una percezione non residuale del non profit. Ministro Visco, ci lasci volare ?…E non ci fanno volare? è l?originale titolo di un convegno promosso dal Centro Kaspar Hauser in programma a Milano il 25 marzo prossimo presso il teatro Franco Parenti (via Pier Lombardo 14). Chi non fa volare chi? La legge fiscale non fa volare il non profit, ovvero, come recita la locandina del convegno «la legge sul non profit è un?occasione sprecata». Non sarà però un appuntamento solo demolitivo, anzi: verrà presentata proprio in quell?occasione una proposta di riforma della 460 che abbia come intento promuovere e non penalizzare il Terzo settore italiano. Un documento che si preanuncia ?radicale? e di cui discuteranno i promotori e relatori di prestigio invitati a portare contributi di riflessione e ricerca. Tra questi, il professor Geminello Alvi, Susanna Agnelli (presidente di Telethon), don Virginio Colmegna (direttore della Caritas ambrosiana) Rossano Bartoli (segretario della Lega del Filo d?Oro), Giulia Maria Crespi (presidente del Fai), Andrea Petrucci (docente all?università Cattolica), Mario Mauro (presidente della Compagnia delle Opere). Nel corso del convegno e anche in seguito sarà possibile sottoscrivere la proposta di riforma, per cui si sono già raccolte circa 500 firme. Per informazioni e adesioni, Centro Kaspar Hauser tel. 025516799. Economia civile, non finirai come Kaspar L?Istituto Kaspar Hauser per gli Studi Economici (IKHSE, con sede a Milano in via F. Daverio 7, tel. 02.55.16.799; kaspar_hauser@iol.it è un?associazione fondata nel dicembre 1995 per volontà di un gruppo di economisti, filantropi e imprenditori. Il presidente è Ilaria Borletti, il direttore Geminello Alvi. Il progetto dell?IKHSE nasce dalla convinzione che il binomio Stato-mercato non possa adeguatamente rispondere ai bisogni della società: occorre liberare le forze che compongono il Terzo settore, così come lo storico personaggio tedesco Kaspar Hauser venne liberato dalla torre in cui era stato rinchiuso da uomini malvagi. Una storia drammatica e affascinante, quella del giovane Kaspar: rimasto nell?oscurità della prigione dai 3 ai 17anni, viene poi educato e ricondotto alla vita, dove però rimarrà per poco: verrà infatti assassinato da alcuni sicari che ne sospettavano l?origine principesca e ne temevano dunque le aspirazioni al trono di Baden. Da allora Kaspar è assurto a simbolo, in Germania e altrove, dell?innocenza e della purezza di un mondo ancora legato alla poesia del Romanticismo e che verrà bruscamente interrotto dall?avvento dello Stato forte e autoritario che sarà poi quello di Bismarck. Ma anche della verità prigioniera, difficile da scovare, e poi, una volta uscita allo scoperto, odiata e sopraffatta.


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