Qualcuno sta bene quando è in giro per il mondo, sempre su un treno o in sella a una moto, per alberghi e ostelli, tende o riad. Qualcuno.
Invece la maggior parte degli uomini si preoccupa, per prima cosa, di mettersi al sicuro in una casa. Fra i muri di casa c’è il tepore, ci sono i libri, il gatto, la famiglia, la tv, una cena con gli amici. Fuori dai quattro muri, come si dice, il resto.
A volte ne basta uno di muro, se è abbastanza lungo, per lasciare fuori il resto, o i resti.
Certi muri nemmeno sono fatti di mattoni, come il celebre di Berlino o i settecento chilometri della cosiddetta “Barriera di separazione israeliana”: i più moderni sono di rete, filo spinato e fucili, tipo quello messo su in Ungheria. O quello che hanno sfondato qualche giorno fa tra la Grecia e la Macedonia.
Il concetto è il medesimo, il muro chiude. La radice mu- del termine è la stessa di muto: legare, serrare la lingua o una strada, la parola o una città.
Il muro è passivo e passivizza, se si può dire: lo fanno i pallavolisti a rete, per neutralizzare una schiacciata. Al bambino che gioca a pallone “a muro” la palla ritorna addosso più lenta, dopo ogni tiro. Perfino le figurine lanciate al muro si assopiscono lì. Il muro di gomma ti restituisce silenzio. Il muro contro muro immobilità.
Il muro non è un atto, è un contro-atto, una reazione passiva. Se tutti agissimo per reazioni passive il mondo sfiorirebbe in una notte.
Al muro contro muro reagiscono solo gli artisti, siano essi writer di strada o Michelangelo che affresca una parete. Loro dipingono sui muri, li aprono verso nuovi mondi, al di là e al di qua di essi, li trasformano in altro e così li abbattono, non li negano, non li ignorano. Impariamo la via da loro. Se un muro esiste, tanto vale disegnarci sopra.
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