Famiglia

Il dovere di ascoltarli

di Paola Crestani

Sono già alcuni giorni che sto cercando di mettere ordine alle emozioni vissute durante la conferenza biennale di Euradopt, quest’anno organizzata a Utrecht e caratterizzata dalla presenza dei figli adottati, sia come relatori che come partecipanti al panel di discussione e specialmente come animatori di un intenso dibattito.

Non è la prima volta che ascolto la voce dei figli adulti adottati, ho avuto la fortuna di poter partecipare a due meeting nazionali degli  adottati adulti organizzati da CIAI qualche anno fa in Italia e ho già vissuto quel magico clima che si crea tra persone che si sentono unite da un’esperienza tanto forte, con tutto il carico di emozioni che a questo corrisponde.

Quello che ho “sentito”, e premetto che è una mia sensazione personale che non ha la pretesa di riportare esattamente quello che è successo nella Janskerk di Utrecht, è stato un insieme di vissuti molto diversi, di emozioni forti e a volte contrastanti.

Mi ha colpito molto la sensazione di poter quasi “toccare” la sofferenza che traspariva da alcune storie, la rabbia per la consapevolezza di essere stati vittime di raggiri ed inganni giocati sulla loro pelle e quella dei loro genitori –biologici ed adottivi-, il dolore di adozioni fallite, il desiderio di far sentire la propria voce perché altri non debbano patire le stesse sofferenze.

Allo stesso modo ho sentito forte la testimonianza di profonda serenità, di gratitudine per la chance di vita avuta attraverso l’adozione, di amore nei confronti delle famiglie adottive.

In alcuni casi sentimenti contrastanti convivono in una stessa persona ed in una stessa storia, a testimonianza di quanto complicato sia il cammino di chi ha dovuto subire l’abbandono, esperienza che accomuna tutti i figli adottivi, ed ha poi, per strade ed in modi diversi, trovato una nuova famiglia.

Come persona che da anni lavora nel mondo delle adozioni cercando di assicurare percorsi trasparenti, corretti, che garantiscano sempre il migliore interesse di ogni bambino e sostengano lei o lui e la sua famiglia nel percorso di vita, non posso non interrogarmi di fronte a queste testimonianze.

Ho sempre creduto indispensabile lavorare per la correttezza delle adozioni, per la necessità di avere certezza dello stato di abbandono informato, per evitare qualsiasi pressione nei confronti dei Paesi di provenienza dei bambini e di conseguenza delle loro famiglie, nell’assoluto rifiuto di qualsiasi pagamento che non sia motivato e certificato, anche solo una mancia, ma ad Utrecht ho avuto modo di verificare in maniera particolarmente intensa quanto questi principi siano importanti non solo perché “giusti” ma anche perché il loro rispetto o meno può davvero fare la differenza, un’enorme differenza, nella vita delle persone coinvolte, sia i figli adottati che i loro genitori, biologici ed adottivi.

Fortunatamente negli anni sono stati fatti passi avanti in questo senso, la Convenzione dell’Aja, pur non rappresentando un rimedio definitivo, ha consentito maggiori controlli e migliori qualità delle adozioni.

Ma c’è ancora molto da fare.

Ancora troppo spesso attorno all’adozione si muovono interessi che nulla hanno a che fare con il tanto proclamato superiore interesse del minore!

E specialmente c’è ancora molto da imparare e molte risposte da dare.

Dobbiamo continuare ad impegnarci con sempre maggior determinazione per garantire la reale sussidiarietà dell’adozione, lavorando efficacemente per prevenire l’abbandono e assicurando adozioni trasparenti o, come hanno chiesto gli adottati ad Utrecht, “oneste”.

Dobbiamo garantire ai figli adottati un sostegno ed una vicinanza sempre, in ogni fase della loro vita anche quando, come diceva una giovane donna durante il dibattito alla conferenza, si devono confrontare a propria volta con la genitorialità.

Dobbiamo offrire comprensione, sostegno ed aiuto nel percorso di ricerca delle origini, un’esigenza sempre più sentita, anche se con motivazioni e percorsi diversi, da molti adottati diventati adulti.

Ma soprattutto dobbiamo ascoltare la voce di chi è stato adottato, comprendendo che ognuno porta la sua specifica esperienza che non può né deve essere assolutizzata ma che è importante per costruire un quadro completo della realtà adottiva e per aiutare a far in modo che i percorsi di tanti altri bambini, che realmente hanno bisogno di una famiglia, siano sempre più sereni.

 

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