In quasi cinquant’anni di attività nel campo delle adozioni, a CIAI non ci eravamo mai confrontati con una situazione come quella che stiamo vivendo in questi ultimi tempi: abbiamo più segnalazioni di bambini che aspettano una famiglia che famiglie disponibili ad adottarli.
Li guardo, questi bambini che aspettano, e mi sembrano tutti bellissimi, ognuno con la sua storia, il suo carattere, le sue qualità, le sue sofferenze e le sue paure.
E’ vero, sono bambini “speciali”, come quasi tutti quelli che ci vengono segnalati negli ultimi anni, bambini che spesso hanno problemi di salute – di diversa gravità, anche molto lievi – e che a volte hanno vissuto storie particolarmente dolorose di abbandono e maltrattamento ma sono bambini per i quali fino ad ora abbiamo sempre avuto disponibilità e risorse da parte delle meravigliose famiglie che incontriamo, e sono davvero tante. Oggi però questa disponibilità non è più sufficiente per dare risposta alle segnalazioni che ci arrivano dai Paesi in cui lavoriamo.
Immagino che molte famiglie siano comprensibilmente spaventate, scoraggiate di fronte ad una situazione sempre più confusa di un mondo, quello delle adozioni, che nell’ultimo periodo ha mostrato i suoi aspetti peggiori e che ancora adesso non riesce ad essere governato in modo credibile. Sicuramente non sono incoraggiate dai costi, spesso elevati, di un’adozione ma ancora di più dalle incognite rispetto al futuro. Forse qualcuna di loro sta ancora cercando di orientarsi tra tutte le informazioni e le voci che arrivano da stampa, blog, siti, profili facebook, tweet di trolls e di fake, hashtag creativi. Oppure qualcuna è alle prese con questa interminabile crisi economica e con tutte le incognite che il mercato del lavoro pone e non si sente in grado di affrontare un’avventura che ha tanti punti di domanda ma la certezza di essere impegnativa.
Intanto gli occhi dei bambini che aspettano ce li ho stampati in testa e continuano a guardarmi e ad interrogarmi. Non riesco a rassegnarmi al fatto che per alcuni di loro non ci sia un’altra possibilità, che non si riesca a garantire, come loro diritto, una famiglia che si occupi di loro, che li ami in maniera esclusiva, per cui diventare la ragione di vita.
Mi piacerebbe che anche tutti coloro che a diverso titolo si occupano di adozione – ed in particolare le istituzioni – si interrogassero di fronte ai bisogni di questi bambini perché è evidente che per riuscire a dare fiducia alle famiglie – risorsa indispensabile per dare risposta ai bambini abbandonati – non basta l’impegno di una singola persona o di una singola organizzazione ma è necessario e urgente costruire un sistema delle adozioni, in grado di dedicare particolare attenzione e risorse ai bambini che più ne hanno bisogno -quelli con bisogni speciali- e alle famiglie che potrebbero rendersi disponibili ad accoglierli, assicurando loro un sostegno efficace, anche dopo l’adozione.
Un sistema in cui tutti gli attori devono collaborare, in sinergia, ognuno rispettando il proprio ruolo, avendo a cuore solo l’interesse dei bambini.
Un sistema che possa contare sulla regia di un’istituzione, la Commissione Adozioni Internazionali, che deve essere in grado di svolgere adeguatamente il fondamentale compito che la legge le assegna: governare le adozioni internazionali in Italia, controllare e verificare attentamente l’attività svolta dagli enti, rafforzare i legami di cooperazione con i Paesi di provenienza dei bambini, attivare l’interlocuzione con tutti gli attori del processo adottivo, garantire la sussidiarietà dell’adozione.
Invece ci troviamo di fronte allo sconsolante spettacolo di un mondo delle adozioni sempre più diviso, dove gli interessi particolari sembrano prevalere rispetto a quelli dei bambini, in cui la Commissione Adozioni Internazionali non si riunisce da quasi tre anni, con tutto ciò che a questa paralisi consegue.
Intanto i bambini aspettano….
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