Volontariato

Questo Oscar sta su con le stampelle

Dal Dopoguerra a oggi,69 nomination e 24 vittorie per chi ha portato sullo schermo minorazioni mentali o fisiche. C'è di che rallegrarsi? Certo,almeno se ne parla...

di Giacomo Ratti

A ncora non esiste un premio Oscar per il miglior attore con disabilità fisica o mentale, ma forse prima o poi l?Academy of Motion Picture Arts and Sciences dovrà prevedere una apposita categoria ufficiale, perché in dal ?46 ad oggi è la rappresentazione dell?handicap ad aggiudicarsi di diritto l?Oscar alla carriera. I numeri parlano da soli: dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, 69 nomination e 24 Oscar per i migliori attori e le migliori attrici (principali oppure non protagonisti) sono andati a interpreti che si calavano nella parte di un handicappato, o che disabili lo erano davvero. La lista include mostri sacri come Kirk Douglas, Laurence Olivier, Audrey Hepburn, Ingrid Bergman, Peter Sellers, Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Tom Cruise, Al Pacino, Jessica Lange, Robert De Niro, Tom Hanks, Anthony Hopkins, Brad Pitt, Jodie Foster e persino Leonardo Di Caprio. Ma anche un?autentica sordomuta come Marlee Matlin di ?Figli di un dio minore? o la nana Linda Hunt che interpretava il fotografo (uomo) di ?Un anno vissuto pericolosamente?. E la varietà delle patologie presenti nei film è infinita: ciechi e sordi, muti e zoppi, amputati e paraplegici, malati mentali o Aids, paranoici e schizofrenici, psicotici e Down, affetti da nanimos e da autismo, sino anche a patologie rare e specifiche (vedi ?Elephant Man?).
È stupefacente come prima della guerra Hollywood avesse sempre tenuto l?handicap rigorosamente fuori dei suoi fotogrammi: al punto che persino in un cartone animato come il ?Pinocchio? di Walt Disney il burattino di Collodi, da ?legnoso? e capace di perdere le gambe com?era, viene trasformato in bambino vero e proprio. Ma poi evidentemente il conflitto cambiò tutto, la percezione del mondo e quella dello spettacolo, inserendo il dolore nella rappresentazione della vita. Non a caso, il primo ?Oscar disabile? fu assegnato nel 1946 per ?I migliori anni della nostra vita? a Harold Russell, un vero amputato che aveva perso entrambe le mani in un?esplosione bellica e che nel film era un veterano della Marina Usa.
Era nato un filone, che Hollywood promise di sfruttare. Da allora i film avrebbero potuto parlare di handicap, ma le parti di disabile sarebbero state assegnate ad attori ?normali?, anche famosi: il rischio era minore, le possibilità per il box office maggiori. Per vedere recitare autentici disabili si sarebbe dovuto attendere gli anni ?80, e una nuova sensibilità. E intanto il Vietnam aveva portato nuova linfa al filone ?mutilati di guerra sul grande schermo?. Così le nomination si sono moltiplicate, fino all?ultima, quest?anno, a Emily Watson per l?interpretazione di una famosa violoncellista che una grave malattia genetica riduce su una sedia a rotelle (storia vera).
Per molti, associazioni di disabili in testa, questo venire alla luce di ciò che per secoli è stato rimosso e nascosto può essere solo positivo. Qualche dubbio però resta, di fronte a tanta spettacolarizzazione del disagio fisico e mentale: è tutto a fin di bene o non si tratta solo di stimolare il voyeurismo degli spettatori per fare felice i cassieri dei cinematografi, costringendo i critici a parlar bene di un film su temi così ?commoventi?? Ed è lecito, in nome dell?arte e del gusto e della critica cinematografica, parlar male di un film che parla di disabili, senza essere per questo linciati in quanto giudicati ?politicamente scorretti?? Vediamo che cosa ne pensa chi, a casa nostra, l?handicap lo affronta ogni giorno.
«È difficile fare un discorso in generale, bisognerebbe andare a valutare le singole pellicole, ognuna con la sua particolarità e il suo fine: ?Il mio piede sinistro? è diverso da ?Figli di un dio minore?, ?Rain man? da ?L?ottavo giorno?», commenta Anna Contardi, presidentessa dell?Associazione italiana persone Dow (della quale fa parte anche Alessandro De Santis, l?attore che ha interpretato il bel personaggio di Lillo nel film ?Johnny Stecchino?). «Tendenzialmente, comunque, sono convinta che sia un bene che al cinema si veda l?handicap e se ne parli, perché sono dell?idea che la cultura si cambi più per condivisione che attraverso inutili prediche. Trovo, comunque, decisamente più significativi non quei film che sono incentrati sulla tematica specifica, ma quelli che, parlando d?altro, mostrano all?interno delle loro storie personaggi disabili che così appaiono nella giusta dimensione: ossia come un aspetto della normalità della vita».
Una visione di normalità che, secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli non si ottiene certo attraverso la cinematografia: «I diversamente dotati, come si dice oggi, nella nostra società non sono nessuno. Ma i film, nella loro natura, devono rappresentare degli eroi, e diventare eroi vuol comunque dire essere degli emarginati», spiega il professore. «Il bellissimo film ?Shine?, per esempio, porta all?estremo un caso e così finisce con il mostrare un autentico eroe, senza trasmettere il messaggio che ogni disabile può suonare il piano. Perché è il quotidiano, anche nei suoi aspetti più banali, che ci deve interessare, su cui si deve lavorare, non l?eroismo, che è un altro aspetto della marginalità. Come diceva Bertolt Brecht: beate quelle società che non hanno bisogno di eroi, perché vuol dire che al loro interno sono tutti protagonisti».
Secondo Franco Bomprezzi, presidente della Uildm, la giusta presenza dei disabili nei film dovrebbe essere ?alla Hitchcock?: «Dovrebbero comparire quando meno te lo aspetti, come sfondo, come normalità all?interno del panorama sociale proposto dal film. Cioè, vorrei vedere molti più personaggi disabili che fossero attori non protagonisti. E se un film sulla disabilità è brutto, non ci si dovrebbe pensare neanche un attimo a stroncarlo: non c?entra l?argomento di cui tratta, ma il gusto estetico». E Bomprezzi, in chiusura, vuole regalarci una verità: «I disabili preferiscono andare al cinema a vedere film che non parlano di disabilità. Per questo vorrei muovervi un appunto: non avete citato nell?elenco quello che secondo me è veramente il più bel film che tratta di handicap, il meraviglioso ?Blade Runner?». ?
(ha collaborato Antonio Autieri )

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