È veramente interessante leggere lo scambio di lettere fra il noto psichiatra Paolo Crepet e il noto giornalista Aldo Cazzullo. I due, riprendendo la lettera di un lettore del Corriere della Sera a cui Cazzullo aveva già dato risposta, dissertano legittimamente sul fatto che rendere obbligatorio il servizio civile per milioni di ragazzi rappresenterebbe un passo avanti notevole per risolvere i problemi dei giovani. I due riprendono in sostanza la proposta che in Parlamento è stata fatta dalla Lega Nord, giudicata impraticabile per molte ragioni dal Governo.
Scrive Crepet: "Dalla mia ormai trentennale esperienza di psichiatra che si occupa di giovani e famiglie, le posso assicurare che un servizio prestato al Paese aiuterebbe milioni di giovani a ritrovare un’identità e ad amare e conoscere la nostra bellezza. […] Se qualche politico volesse porre rimedio ai tre milioni di giovani che non lavorano e non studiano, credo che averne qualcuno a pulire i boschi, a controllare la sala di un museo o a portare a scuola un bambino in difficoltà, non solo potrebbe riconquistare parte della credibilità perduta, ma offrirebbe alla nostra migliore gioventù un’opportunità per crescere e maturare".
Risponde Cazzullo: "Sono d’accordo. Da almeno tre generazioni (la prima è stata la mia) gli italiani fanno fatica a dire "noi". Noi nati negli Anni 60 siamo cresciuti nell’era del riflusso: la febbre del sabato sera e il campionato di calcio più bello del mondo; ogni individuo era convinto di bastare a se stesso, persino ballare si ballava da soli. I nostri figli sono cresciuti nell’era digitale, la cui cifra è la solitudine e il narcisismo (ingigantiti e non attenuati dai social). Ci manca un’esperienza di vita in comune, al servizio degli altri se non dello Stato. Il servizio civile, che avrebbe senso solo se obbligatorio per tutti, sarebbe senz’altro un’occasione di crescita. Un modo per capire che esistono anche doveri e non solo diritti, responsabilità e non solo opportunità. Ma se l’idea non è mai stata realizzata, è perché resta impopolare. A volte ai padri dà meno fastidio un figlio sdraiato sul divano, ma dipendente da loro e sotto controllo, che il pensiero di un figlio al lavoro tra le macerie di un terremoto o tra le vittime di una valanga. Ma so che tanti giovani fanno volontariato, e questo attenua il mio pessimismo".
Lungi dalla volontà dell'involontario cercare visibilità polemizzando con due noti e stimati personaggi che probabilmente nella vita, per loro merito e fortuna, non hanno mai avuto nulla di obbligatorio per "crescere" e sentirsi parte della grande bellezza italiana. Sarebbe altrettanto facile accusare la generazione dei Cazzullo e dei Crepet (intesa in senso anagrafico) di essere stata quella in mezzo alla quale il senso di appartenenza alla Nazione più bella del mondo è evaporato. Prima o poi però qualche responsabilità i 50-60enni italiani dovranno pur ammetterla.
Da ormai non più giovane trentaseienne, l'involontario vuole sommessamente far notare che il servizio civile è bellissimo e utilissimo, ma è un'altra cosa rispetto al ricordo della leva militare obbligatoria. Ché di obbligatorio i giovani oggi hanno troppe cose: è obbligatorio sbattere la testa mille volte contro il muro di gomma del mercato del lavoro inaccessibile; è obbligatorio studiare e formarsi ben oltre i trent'anni per avere qualche possibilità in più di trovare lavoro; è obbligatorio iniziare a lavorare con forme scandalosamente precarie; è obbligatorio guadagnare la metà di un adulto che sta nel tuo stesso posto senza avere la minima voglia di fare quello che per te è bello fare gratuitamente, figuriamoci pagato. Solo per citare alcuni "obblighi".
Cari Cazzullo e Crepet, quel minimo di libera scelta che ancora i giovani possono avere non costringetelo, nemmeno nelle intenzioni. La strada per sentirsi parte di un Paese non è essere obbligati a servirlo, ma essere educati ad amarlo, anche tramite il servizio. Ben venga poi il servizio civile, ma universale e non obbligatorio. E chi legge l'involontario sa bene quale è la differenza.
p.s.: a pulire i boschi, a controllare la sala di un museo o a portare a scuola un bambino in difficoltà i ragazzi che fanno servizio civile ci vanno con le associazioni, non con lo Stato. Giusto per completezza.
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