Domenica mattina, come tutte le domeniche, sono andato a messa. Mia moglie brontolova per il ritardo canonico e mia figlia era tutta eccitata perché è l'unica bimba che ama andare in chiesa. Tutto nella norma. Non mi sono accorto dell'anomalia finché il prete, finita la messa, nel consueto spazio dedicato agli avvisi, ha sottolineato come mancasse una persona quel giorno. «Ve lo ricorderete tutti…». Si riferiva ad un uomo, un clochard, che è sempre seduto, in particolare d'inverno, sull'ultima panca, in fondo. È effettivamente una presenza ormai consueta. È sempre lì, e nessuno si pone più il problema. Questa domenica non c'era. Perché alle 6.30, andando a comprare come sempre il giornale in un edicola di Piazza Duca d'Aosta di fronte a Stazione Centrale, che dista poche centinaia di metri dalla chiesa, è stato colpito in testa con una spranga. Non si conosce l'identità dell'assalitore, né il motivo dell'aggressione. Sta di fatto che oggi l'uomo è al San Raffaele in coma. Non ha amici né famiglia. Così la parrocchia ha chiesto ai fedeli un aiuto per poterlo vestire e accudire.
La notizia è stata un pugno allo stomaco. Sorprendentemente ho sviluppato una sorta di affetto per quella presenza. È diventato silenziosamente parte della mia quotidianità. Non ha mai fatto altro che dormire, seduto sempre allo stesso posto. Domenica dopo domenica. Non ne conosco il nome e prima degli articoli di cronaca che ne hanno parlato non sapevo fosse straniero. Eppure è come se avessero fatto del male a qualcuno di vicino, di amico. Come se avessero colpito un affetto.
Tornando a casa mi sono venute in mente due storie.
La prima è quella di Doug Seeger (nella foto), un senzatetto 62enne che vive in Tennessee divenuto celebre grazie alla sua "Going down to the river", canzone country grazie alla quale ha potuto pubblicare il suo primo omonimo album e diventare una star del genere, calcando il palco a Nashville con tutti i più grandi (oltre che a posizionarsi immediatamente al numero uno della classifica ITunes in Svezia).
L'altra è quella di Sixto Rodriguez, di cui avevo già parlato, che, abortita la carriera da musicista per il mancato sucesso dopo soli due album e dopo una vita in fabbrica, ha scoperto che le sue canzoni erano la colonna sonora della battaglia contro l'apartheid in Sud Africa, dove è venerato come una vera rockstar.
È una banalità me ne rendo conto. Ma domenica mi sono reso conto di quanto ciò che sembra trascurabile e scontato possa essere invece importante.
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