Non profit
5 per mille al volontariato in calo: c’è poco da gioire (e la colpa non è dei contribuenti)
Molti hanno gioito in queste ore per la pubblicazione dei risultati del 5 per mille relativo all’anno 2015. Il che è paradossale. Visto che nonostante le “vibranti” proteste degli anni passati si è passati dall’ottenere con grave ritardo i dati a maggio, dopo la campagna di mobilitazione #fuorileliste, ad ottenere con grave ritardo i dati, ad aprile, senza campagna di mobilitazione. Tutto qui.
Altri, anche sulle pagine di Vita, più che gioire plaudono al 5 per mille per i suoi 10 anni di storia e per le prospettive di miglioramento di tale strumento di cui si parla nell’ambito della Riforma del Terzo Settore. Spiace fare il bastian contrario ma questo, a me, appare ancora più paradossale.
A leggere i dati complessivi si registra un significativo calo dei risultati per il settore volontariato (-3,3% di sottoscrizioni e -2,1% di incassi). D’altro canto come stupirsi di questo? Nulla è stato fatto su vari fronti (non profit, organizzazioni, governo) per rafforzare e far crescere in quantità e qualità il 5 per 1000, ma al massimo (almeno sulla carta) per facilitare le procedure di accesso e chiarire la rendicontazione formale.
A dicembre 2015, la Scuola di Roma fund-raising.it insieme all’Istituto Italiano della Donazione e a molti interlocutori appartenenti al non profit, alle istituzioni e al mondo dei fundraiser aveva presentato pubblicamente un manifesto per il nuovo fundraising che conteneva una serie di misure molto semplici per migliorare la raccolta fondi in Italia di cui alcune specificamente pensate per il 5 per mille. In quella occasione il sottosegretario Bobba affermò che “Il Manifesto è una ottima base per il lavoro di scrittura dei decreti attuativi della riforma” (ascolta il suo intervento). A questa affermazione a tutt’oggi non è seguito nulla di concreto e neanche se ne è parlato.
E poi ci si stupisce se i risultati non sono soddisfacenti? Io personalmente non mi stupisco.
In verità non serviva la Riforma del Terzo Settore per riesaminare il 5 per mille. Poteva essere fatto prima e a prescindere. Molti di noi, e in primis Vita, hanno sempre chiesto un impegno per migliorare questo strumento. Da un paio di anni e forse più ci siamo sempre sentiti dire che bisognava aspettare la Riforma per rivedere tutta la materia. Adesso la riforma c’è ma non c’è notizia di una revisione di alcuni punti essenziali che da tempo, molto tempo, chiediamo a gran voce e che sono essenziali. Vale la pena ricordarli:
- Pubblicazione dei risultati in tempo reale, ovvero i tempi tecnici che ci mettono le macchine per tirare fuori i dati, come nel caso del 2 per mille ai partiti. Direi che 30 giorni sono più che sufficienti.
- Versamento dei contributi raccolti contestualmente alla pubblicazione dei dati, come nel caso del 2 per mille ai partiti.
- Possibilità per i contribuenti di autorizzare il passaggio dei propri dati anagrafici alle organizzazioni beneficiarie, affinché possano essere informati sull’uso dei loro soldi come succede in altri paesi che hanno adottato le leggi X per mille.
- Eliminazione del tetto, in genere 500 mln di euro, posto ai contributi erogati.
- La realizzazione di campagne di comunicazione istituzionale atte a sensibilizzare gli italiani sull’uso del 5 per mille quale strumento di sussidiarietà. Molti contribuenti infatti non sanno dell’esistenza del 5×1000.
- Stabilire criteri di controllo qualitativo e non solo formale delle organizzazioni beneficiarie ossia sull’effettivo utilizzo dei fondi raccolti e soprattutto sui benefici e impatti prodotti, anche per creare una competizione qualitativa tra le organizzazioni basata sulla loro efficacia nell’azione sociale, culturale e di altro genere.
Non dare seguito a queste richieste vuol dire fare un torto non solo alle organizzazioni non profit e alle altre realtà che potrebbero accedere al 5 per mille ma, soprattutto, ai contribuenti posto che il 5 per mille è un loro diritto anche se è “limitato” dallo Stato. Mentre il 5 per mille, con altre misure di defiscalizzazione delle donazioni, sono stati concepiti proprio come strumento che potenziassero la sovranità popolare. Ed è anche un torto all’intelligenza e al buon senso che dovrebbe spingere i nostri amministratori a produrre cambiamenti concreti in un tempo ragionevole. E 5 anni di mobilitazioni, richieste, interlocuzioni, petizioni, articoli sui giornali, promesse, dibattiti e convegni non è un tempo ragionevole.
Ma non ce la prendiamo sempre e solo con lo Stato. Perché dobbiamo ammettere che in questa vicenda – come si suol dire – non è il solo a dormire da piedi. Il mondo non profit e in parte anche le singole organizzazioni, dormono spesso sonni profondi. Personalmente non ho mai visto una seria azione di pressione democratica da parte delle organizzazioni di secondo livello (Forum, CSV, Alleanza cooperative, ecc..) nonostante anche noi fundraiser l’avessimo richiesta più volte. Non solo non ci si è attivati adeguatamente ma non si è neanche mai saputo il perché. E questo aspetto è molto rischioso perché senza un secondo livello forte e realmente rappresentativo rischiamo che, non solo la vicenda del 5 per mille, ma tutte le questioni che attengono le politiche sul fundraising siano guidate dal pressapochismo e dall’ignoranza o peggio da interessi particolari – per quanto legittimi – piuttosto che da interessi generali.
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