Gentile sottosegretario Bobba,
ho letto con molto interesse l’intervista che ha rilasciato a Vita in merito al 5×1000. Devo confessarle che sono molto lieta che questa materia sia l’ultimo punto che tratterete in termini di Riforma. Molto contenta perché c’è ancora tutto il tempo per decidere diversamente.
Io sono una fundraiser. Insieme a molti colleghi abbiamo applaudito alla Riforma e alle tante cose che speriamo giochino a favore dello sviluppo del Terzo settore.
Allo stesso tempo, alcuni colleghi ed io, in rappresentanza (ci auguriamo) della nostra categoria professionale, l’abbiamo incontrata più volte. Non molte come avremmo voluto, a dire il vero, ma siamo lieti che per la prima volta abbiate colto il nostro impegno e accolto il nostro suggerimento, inserendo la parola “raccolta fondi” all’interno dell’articolo 9 e sdoganando per la prima volta l’atto di donazione da mero atto subito ad atto consapevole e stimolato dalle nostre organizzazioni.
Per la prima volta, ci viene riconosciuta la capacità di sollecitare il dono a vantaggio delle buone cause che rappresentiamo.
Io sono personalmente lieta di questo piccolo ma significativo passo avanti.
Ricorderà, sono certa, che intorno a quel tavolo, siamo stati noi fundraiser ad auspicare l’obbligo alla trasparenza, perché solo la trasparenza delle nostre Onp ci permette di svolgere al meglio e con più semplicità un compito, capirà, affatto semplice: quello di chiedere risorse per cause intangibili il cui valore effettivo ci è difficile dare.
Bene, dunque. Attendiamo con fiducia che vi sia un obbligo rendicontativo.
E per il 5×1000?
Non sono del tutto convinta delle giustificazioni che porta nel dichiarare che riterrete imperseguibile la resa pubblica della scelta. Mi spiego meglio: comprendo perfettamente le ragioni che una totale accessibilità degli elenchi dei sottoscrittori non sia la cosa migliore da fare. Ritengo che abbia ragione quando racconta che vi siano enti che potrebbero approfittare dell’opportunità per incrociare i dati e utilizzare gli stessi non per fini nobili ma tal rinuncia alla base inficerebbe, di fatto, un’opportunità di crescita incredibile in modo particolare per tutte le organizzazioni che non hanno grandi possibilità e che sono il tessuto produttivo del nostro Paese.
Una soluzione per rispondere ai suoi dubbi e mettere le Onp nella condizione di fare meglio però ci sarebbe ed è tanto semplice quanto opportuna: lasciare al cittadino contribuente la possibilità di scegliere se dare i propri dati oppure no. Basterebbe un semplice segno di spunta.
Ne avevamo parlato intorno a quel tavolo, più di due anni fa. Mi pareva di avere capito che il meccanismo non fosse impossibile da attivare… Mi dica lei. Mi spieghi perché questa soluzione sarebbe di fatto non praticabile. Diversamente, ovvierebbe ai problemi che descrive su Vita e che, ripeto, comprendo perfettamente.
Forse per la prima volta siamo di fronte alla possibilità di offrire un servizio alle organizzazioni meritevoli, partendo dal presupposto che per un ente che vuole crescere, un’anagrafica è condizione necessaria e grande patrimonio, un patrimonio da usare virtuosamente.
Mi lasci dire, stimato sottosegretario, che ciò gioverebbe a favore di un discrimine tra chi è virtuoso e chi è vizioso perché chiederebbe alle organizzazioni uno sforzo rendicondativo che le metterebbe nella condizione di raccontarsi e, di conseguenza, di crescere. Diversamente, non raccontare, o raccontare poco e male, metterebbe il donatore nella condizione di scegliere qualcun altro. Perché mi creda: un donatore interessato soprassiede una volta, magari due, ma alla terza comincia a farsi delle domande e a porre la propria attenzione altrove. Il mercato, con il tempo, si autoregola come ben sa.
Parlo, sottosegretario, di anagrafiche e non di informazioni sul valore economico del singolo contributo che posso capire innescherebbe altre implicazioni facilmente immaginabili. Questa precisazione è per una chiarezza sostanziale negli intenti di questa mia sollecitazione.
Noi fundraiser puntiamo lì, a quel donatore interessato che vuole avere con noi una relazione basata sulla fiducia e su un interesse comune.
Stefano Zamagni raccontava qualche giorno fa a Il Fatto Quotidiano di una stortura interna alla macchina del 5×1000: pochi enti che si spartiscono la maggior parte della torta e questo è merito delle opportunità di investire in massicce attività promozionali. Questo è senz’altro vero, come del resto è vero sempre e il nonprofit non fa certo eccezione, ma non ritengo invece che la flessione delle scelte sia da imputare a un generale clima di sfiducia. Più che altro, potrei azzardare che uno dei motivi potrebbe essere quello di un meccanismo di scelta nella maggior parte dei casi più impulsivo che ragionato e che dunque si inceppa perché non vi è alla base un interesse reale.
Aiutiamo il contribuente a fare quel passo in più, nel desiderare di instaurare un legame più consapevole con l’organizzazione che desidera sia la beneficiaria del suo contributo.
Ad avvantaggiarsene sarebbe l’intero sistema: un cittadino più coinvolto, un’organizzazione nonprofit più attenta al suo operato oltre che più produttiva, una politica meno sospettosa e più fiduciosa.
Sono dunque molto contenta che abbiate ancora tutto il tempo per ripensarci. È uno sforzo che ci meritiamo, su questo non ho alcun dubbio.
Con rinnovata stima,
(EZ)
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