"Padre quotidiano"(PQ) di Gianni Amelio non è solo una novità editoriale che riporta all'attenzione del pubblico il talento letterario di un regista molto apprezzato. A me suona come un'invocazione laica, che arriva a negare il cielo per rimetterlo in connessione con l'uomo di oggi.
La storia si svolge in concomitanza delle riprese per un film (lamerica ?). Il regista (che chiamerò Gianni per quando indossa i panni del protagonista che racconta) l'ha girato in Albania. È qui che conosce, passando attraverso un sacco di traversie, un’intera famiglia: Life, Ethem e ArbenEthemZekaj (Arben).
Non ricordo se l’autore lo spieghi da qualche parte nel libro, ma desta curiosità l'appellativo con cui i ragazzi albanesi chiamano l'importante ospite italiano che li recluta come comparse del film: 'regissore'. Una contrazione tra regista e dittatore, oppure tra regista e professore.
Non è l'unica ambivalenza che compare in PQ. Penso infatti al nome della madre di Arben (Life), che l'autore raccomanda di non pronunciare all'inglese; mi chiedo però come si faccia ad immaginare questa donna senza identificarla come colei che ha dato alla luce Arben. Life come linfa che grazie alla luce genera vita per tutta la pianta. In questo senso, trovo che siano importanti le espressioni utilizzate da Gianni quando parla di Life in apertura del libro. Scrive: "la madre di mio figlio"; diversamente da come indica Ethem che relega con un certo distacco al ruolo di "suo padre" (cioè di Arben).
L'esemplare del libro che ho comprato alla Hoepli di Milano termina con il capitolo 57 a pagina 157; poi seguono diverse pagine bianche. Ad un certo punto ho avuto il dubbio che mancasse qualche pagina stampata. Ho persino progettato di tornare in libreria per rivendicare una copia intonsa e completa. Per finire, non ho voluto scoprire la verità perché il finale contiene secondo me l'espressione chiave di tutto il libro: "mio figlio". È il modo con cui Gianni lo dice che è particolare e mi colpisce: non ammette contraddittorio la sincerità con cui scandisce ogni singola parola. Se ci penso, il modo con cui lui lo pronuncia non è poi così dissimile dalle parole che sento sciogliersi e pungere il mio animo quando torno con la memoria al mio secondo padre (Nicola), che mi ha appena lasciato per sempre.
In fondo, di chi parla Gianni Amelio in “Padre Quotidiano”? Apparentemente di se stesso facendo prestito di pagine e pagine al ragazzo che finirà per adottare (le incursioni di Arben nel romanzo coincidono con i capitoli 6, 11, 18, 37, 45 e 54) e perfino al padre del ragazzo (Ethem). Ma qualcosa non torna perché vi è pari enfasi su Arben (il ragazzo ritratto in copertina potrebbe essere lui?) e su Ethem (al quale è dedicato il libro), per non pensare ad una chiave di lettura diversa.
Io credo che il protagonista del romanzo sia uno solo. Voglio dire, un solo uomo dall'inizio alla fine. E per razionalizzare questa operazione di transfert, Amelio crea due associazioni forti rispetto alla propria vita: il paese dove vive Arben (Koplik di sopra) assomiglia al paese natale di Gianni (in Calabria); il mestiere che imparerà Arben, dopo alcuni anni di permanenza in Italia, appartiene alla filiera della produzione cinematografica.
Non c'è solo questo nel libro di Amelio che, in alcuni punti, ci regala una narrazione pervasa da piacevole ironia: il pacco della carrozzella (pagina 22), il racconto dei tartufi (pagina 39), la spiegazione del termine 'pederasta' (pagina 24). E, tanto per rimanere in tema, non provo imbarazzo a dire che in PQ c'è molto pudore.
Leggo nell’incipit del capitolo 34: "A marzo del 1994 tornai di nuovo al paese perché era morto mio padre". Sicuramente è questo il momento in cui nella mente di Gianni scatta qualcosa di irreversibile. E se l'incontro con il bambino fratellastro fosse una specie di prova generale in vista della decisione di adottare il ragazzo conosciuto in Albania? Fatto sta che da questo punto in avanti la scrittura si carica di un compito impegnativo, più alto. Fa entrare un numero elevato di accadimenti ai quali permette di raggiungere uno stadio di sviluppo appena sufficiente per dare spessore al romanzo, senza cambiare struttura e stile. Le esperienze raccontate migrano i fatti dalla quotidianità dalla cronaca a quello stato di felicità interiore che quasi sempre accompagna un sentimento senza tempo. Nessuno mi toglierà dalla testa l’idea che l'autore ci voglia parlare di un trasferimento ininterrotto di paternità. Ethem affida suo figlio a Gianni; Gianni lascia che il destino si compia tra Arben e sua moglie Halina; Arben consegna le sue figlie al mondo. Non mancano episodi in cui Gianni dovrà fare anche il padre di Ethem, senza dimenticare che a tratti sembra che tra padre e figlio adottivi avvenga un capovolgimento delle parti.
Forse questa è l'ultima volta che mi occupo di un libro che parla di paternità. Ed è strano che accada proprio oggi che ne avrei più bisogno di prima. Non saprei dire se questo sia bene o male. Quello che vedo chiaramente è l'urgenza di fondere nella paternità l’amore ed il bisogno di giustizia, aspettando che per la terza volta una voce 《mi chiami e dica "O figlio!" 》(*).
(*) Questo verso di David Maria Turoldo fa parte della poesia "Il mio fiume".
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