Famiglia

Quindici anni, quindici anni, quindici anni

di Paola Strocchio

L’adolescente del mio cuore ha compiuto quindici anni. Quindici, capito? Quindici. Tre ai diciotto, chiaro?

Questa cosa del tempo che passa a me fa parecchio effetto, tanto più che sto vivendo quella fase della vita in cui ogni volta che ti guardi allo specchio scopri una ruga nuova, spuntata proprio lì, dove soltanto qualche giorno fa non c’era niente, o se c’era si nascondeva bene. Quella fase in cui prima di alzarti devi ricordarti di scendere con calma dal letto perché la cervicale si fa sentire. Quella fase in cui ti sorprendi a dire che forse cambierà il tempo (il meteo, intendo) perché ti fa male un ginocchio e sempre quella fase in cui vedi avanzare l’esercito dei capelli bianchi che tu, povera illusa, provi a mascherare con chili e chili di colpi di sole che a te non interessa per niente che “diano luce”, tu vuoi solo che ti coprano quei maledetti capelli bianchi. O ancora quella fase in cui dopo cena devi berti un Danacol per tenere sotto controllo il colesterolo e devi trangugiare la vitamina D a pranzo altrimenti – così ti hanno fatto capire – le ossa rischiano il patatrac.

Insomma, mi sono emozionata davanti ai suoi quindici anni. Ma oltre all’emozione del vedere crescere il mio ex bambino ho assaporato anche la consapevolezza di come l’adolescente del mio cuore davanti a sè abbia un mondo di opportunità dovute anche a quel tempo di cui ho tanta fame e che invece mi manca sempre. E ho provato pure la consapevolezza di come lui se ne stracatafotta allegramente (mi manchi, Camilleri) di questa grande opportunità che gli danno i suoi quindici anni.

Perché la concezione del tempo, per l’adolescente del mio cuore, è un qualcosa di assolutamente misterioso e oscuro per me, per me che non porto l’orologio al polso, ma che ne ho uno dentro, non so dire se sia quello biologico, che conosce poche parole: muoviti, ché è tardi.

Rileggendo mi sono accorta di come ne sia uscito un pezzo un po’ malinconico. Non era nelle mie intenzioni, ecco. Ho semplicemente acceso il PC e mi sono messa a scrivere dopo avere cronometrato il tempo che mio figlio ha impiegato per farsi una doccia: un’ora e dieci minuti, tra spogliarsi, lavarsi, asciugarsi i capelli, pettinarsi, schiacciarsi forse qualche brufoletto, tagliarsi le unghie e rivestirsi, sempre a ritmo di musica. Le stesse identiche cose che io, a volte anche a tempo di musica, ovviamente ascoltando i Pooh, faccio in 20 minuti, tenendomi larga, pur avendo i capelli più lunghi dei suoi.

Ma lui ha quindici anni, mentre io sono inesorabilmente più vicina ai 50 che ai 40.

Com’è che si dice?

Ah, già: beata gioventù…

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