Ho letto l'ultima puntina di Riccardo Bonacina del 7 dicembre e la risposta annessa del Sottosegretario Steni Di Piazza.
Onestamente condivido molte delle perplessità di Riccardo. Nel mio piccolo, avrei qualcosa da aggiungere.
Caro Governo (e caro Terzo Settore italiano),
partiamo da una premessa: il vero problema non sta nella revisione delle norme fiscali italiane, ma in quella delle norme europee! Non nella compatibilità delle prime rispetto alle seconde; ma in quella delle seconde rispetto alla visione che la stessa riforma italiana del 2017 ambiva ad incarnare!
Al di là delle belle parole di circostanza, l'attuale Governo condivide o meno tale visione? Perchè se la risposta è affermativa, qualcunque modifica dovrà confrontarsi con il rischio (molto alto) di una mancata autorizzazione UE!
Si sente spesso discutere (come mi ricordava un amico) di metodo (commissioni tecniche, ministeriali, interministeriali), ma poco di contenuto.
Mi chiedo se abbia ancora senso insistere, come molti continuano a fare, sull'urgenza dell'invio della richiesta di autorizzazione alla Commissione UE.
Va detto chiaramente a tutti che quell'autorizzazione potrebbe non arrivare mai! Perché le norme del titolo X del codice del Terzo Settore, come quelle della disciplina antecedente, potrebbero essere irrimediabilmente incompatibili con l'attuale disciplina europea in materia di aiuti di Stato.
Ed è probabilmente questa la ragione del ritardo, come più volte avvertito e come emerge, mi pare, dalle stesse parole del Sottosegretario!
Il Governo, coerentemente con le belle parole espresse anche in questi giorni, si faccia portavoce di un cambio di paradigma a Bruxelles, non nelle stanze delle proprie commissioni tecniche!
Si approvi un pacchetto di norme derogatorie sugli aiuti di Stato, come aveva auspicato, in un convegno al Senato del novembre 2013, l'allora Commissario europeo al Mercato M. Barnier.
L'imminente (quanto tardiva) operatività del Registro unico nazionale del Terzo Settore, rende ormai ineluttabile il problema.
Come si può pretendere la transizione all'interno di un regime di cui non sia chiara la cornice, ma neanche il quadro?
Queste considerazioni non elidono le criticità dell'impianto fiscale della riforma.
Ebbi modo di esprimere entrambe anche all'interno della stessa Commissione governativa che redasse il codice. Come in ogni mio scritto o convegno successivo.
In particolare, continuare a incasellare gli ets all'interno del datato e inadeguato binomio “enti commerciali-non commerciali” è stata una scelta sbagliata. La prova risiede nello stesso travaglio subito dall'articolo 79: la disposizione più novellata del codice.
Qual è il senso di una distinzione basata su requisiti meramente interni? Che senso ha qualificare come “ commerciale ” un ets con piccole entrate commerciali, a fronte di entrate non commerciali ancora più esigue? Che senso ha qualificare come “ non commerciale ” un ets con rilevanti entrate commerciali, a fronte di entrate non commerciali di poco più grandi? Quale sarebbe il maggior merito fiscale dei secondi rispetto ai primi? Da cosa deve dipendere questo merito: dalle finalità di interesse generale (e non lucrative) perseguite o dal modo di auto-finanziarsi dell'ente?
Tali incongruenze, a mio modesto avviso, si riverberano in tanti altri aspetti. A cominciare dal regime di de-commercializzazione di alcune voci di entrata dell'art. 79 che si giustificano proprio in ragione del predetto regime qualificatorio e che creano i maggiori problemi di compatibilità europea.
Tutti questi aspetti, tuttavia, non inficiano la bontà di fondo della visione sottesa alla Riforma. Di questa Riforma gli ets italiani hanno bisogno. Non so quanto sia possibile ricreare le condizioni politiche per porre mano ad un intervento organico, come quello del 2014-2017.
È giusto, tra le altre cose, riconoscere agli enti del Terzo Settore un regime fiscale favorevole. Mi son sempre rifiutato di chiamarle agevolazioni, preferendo parlare di fiscalità compensativa. Perché per me si tratta di doverose compensazioni rispetto ai vantaggi recati nei confronti dello Stato e della collettività.
Molte sentenze della Corte di giustizia non riconoscono la legittimità degli aiuti di Stato, neanche quando basati su tale logica compensativa.
E quindi?
Quindi la vera battaglia deve essere svolta a Bruxelles!
Governo, Terzo Settore, Forum e quant'altri, devono capirlo ora, perché il tempo è già scaduto! E non si tratta di scadenza procrastinabile come quella – abbastanza futile – relativa agli adeguamenti statutari che tanto ci hanno visto (inutilmente) discutere … per mesi.
Il tempo trascorso dall'emanazione del Codice avrebbe dovuto servire a questo. Soprattutto a questo. Il mero fatto che sia trascorso inutilmente rappresenta, a mio modesto avviso, una grave responsabilità politica dei Governi che si sono succeduti nel frattempo.
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