Famiglia

Il mio nome è Pungi, Pungiball

di Paola Strocchio

Oggi riflettevo su una cosa: prima della pausa natalizia ho affrontato (sì, affrontato è proprio la parola giusta) un’impresa che richiede coraggio. Ho incontrato – naturalmente online – alcuni dei professori dell’adolescente del mio cuore: storia, italiano, matematica, inglese, informatica e scienze. Mi hanno mandato un link su cui cliccare per mettermi in contatto con loro e parlare di lui, del mio coinquilino quindicenne. Sono sempre incontri con il brivido. Per me, intendo. Perché il terrore che qualcuno dei prof di mio figlio mi dica che sto crescendo un teppista maleducato e debosciato da sempre alberga in me. E non perché io sia una pessimista per natura, ma perché di secondo nome faccio pungiball. Insomma, incasso colpi, che naturalmente tira mio figlio. Colpi che non so nemmeno io perché arrivino, ma arrivano comunque.

Piove? Non è colpa del governo ladro. No, la colpa è mia.

Mio figlio ha sbagliato una disequazione (che peraltro manco mi ricordo cosa sia)? “Mamma, sei tu che mi hai distratto”.

Non è riuscito a fare un flow chart (qui non solo non mi ricordo cosa sia, non l’ho mai saputo)? Ovvio, colpa mia.

Ha sbagliato l’analisi logica? Sono le scie chimiche, che ovviamente ho causato io.

Confonde la formula dell’acido solforico con quella dell’acido solforoso? E’ il 5G, di cui io sono l’unica responsabile.

A scuola, evidentemente, il mostro dell’adolescenza esce però dal suo corpo. Non so dove vada, magari in quello di qualche suo compagno di classe. Scompare anche durante la didattica a distanza, perché i professori dicono che è educato e puntuale nelle consegne.

Ora, lo ammetto, il dubbio che stessero confondendo mio figlio con un altro mi è venuto per un picosecondo, ma poi mi sono ricordata che l’adolescente del mio cuore è facilmente riconoscibile. Insomma, mi hanno parlato proprio di lui. E di lui mi hanno detto che è un ragazzo onesto e puntuale. Ne ho parlato ovviamente con i miei genitori, sdegnata (non dal report dei colloqui, ovviamente, ma dal fatto che con me invece sia un piccolo “mostro”), e fiduciosa di poter trovare un appoggio in loro. Mia madre però mi ha liquidato ridendo e dicendomi che “guarda che eri così anche tu”. Ok, anche io ero così. Quindi c’è speranza per tutti, no? Anche per l’adolescente del mio cuore e soprattutto per me. Nel frattempo resto qui, a sognare di poter mettere in soffitta sacco e guantoni per dedicarmi alla pittura su ceramica o alla cucina macrobiotica.

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