Volontariato

L’attesa

di Dino Barbarossa

È un tempo strano, un tempo di passaggio, in un mondo che è stato e di cui non si riesce a comprendere il futuro.

Ci sono eventi storici ambivalenti, resistono retaggi del passato, si muovono masse verso il futuro, ma non è facile comprenderne la direzione.

Qualche giorno fa un tizio mi parlava di mio nonno, di uno dei tanti che a diciotto anni fu mandato in guerra, la cosiddetta “grande guerra” a difendere i confini della Patria dagli invasori e che ebbe la ventura di tornare, credo solo per raccomandarci di non fare più la Guerra. Ma in questo tempo cosi strano, siamo certi che la Guerra è finita? E soprattutto siamo certi che il clima d’odio che stiamo alimentando non sia foriero di una nuova “grande guerra”?

È anche un nuovo tempo delle “grandi migrazioni”, come se ci fosse una naturale “scivolamento” delle persone verso altri luoghi, spinte non dal piacere (per alcuni è così), ma dal bisogno. Il mondo è diventato un grande “braciere”, innaffiato da violente e passeggere perturbazioni, per cui ci sono parti del mondo che sono invivibili, non hanno più un ecosistema equilibrato.

In mezzo c’è un pezzo di mondo che si sente al sicuro da tutto questo, che vive in una bolla di benessere e stigmatizza i comportamenti di chi per bisogno è costretto a spostarsi (a scivolare) verso un altrove che spera migliore.Questo pezzo di mondo vive l’attesa per un ulteriore progresso sociale, tecnologico, artificiale, quasi fosse necessario per vivere di più e meglio avere in mano il destino dell’universo.

Ma in questa direzione, è un mondo che produce miseria e distrugge il pianeta.

Oggi l’attesa si mescola con la crocifissione, mentre io attendo ho accanto un povero crocifisso da questa mia attesa.

Anche i tentativi di reazione sono funzionali a questo schema, hanno il carattere dell’episodicità, si frantumano appena tentano di costruire qualcosa di concreto, è il tentativo di costruire nuovamente la “torre di Babele” per il solo gusto di apparire, di contare, di scommettere, di ruggire.

È una società in cui gli atti di “giustizia” sono riservati al moto repressivo delle “forze dell’ordine e della magistratura” e dove i gesti eroici si pagano con il sangue. Non mancano i “giusti”, anzi sarebbero anche tanti, ma non riescono ad evitare che il mondo costruisca il suo equilibrio sull’ingiustizia ed in qualche misura ne divengono anch’essi funzionali.


Ma non esiste un modo per sperare che non passi per l’impegno quotidiano dei giusti, dei “miti di cuore”

perché davvero oggi è dato a costoro il compito di salvare il mondo. I potenti oligopolisti costruiscono la nave per salvare solo se stessi ed i loro amici sodali.

Agli altri serve una nuova “arca dell’alleanza” in cui si sale “a due a due”, in cui si sale solo se accanto a te c’è quel povero viandante che ha preso tante botte dalla vita, che ha dovuto lasciare la sua casa e non ha più nulla, che cerca una nuova relazione d’amore.

Solo così l’attesa acquisisce senso ed apre ad una prospettiva, odora di speranza.

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