Volontariato

Partire, infinito del verbo Accogliere

di Dino Barbarossa

Sta per iniziare un nuovo anno e il pensiero che mi accompagna è “VENNE TRA I SUOI E I SUOI NON LO HANNO ACCOLTO”. Viviamo un tempo in cui il verbo più utilizzato è partire ed associamo questo verbo ad una speranza per il futuro. Non importa se il partire è frutto di bisogno, di necessità, di sfida, di prospettiva, siamo pronti a cambiare la nostra storia.

Partiamo con ogni mezzo, anche quello più scomodo, lasciamo la terra e gli affetti, contiamo di approdare ad una terra accogliente, di trovare un posto sicuro. Ma spesso ci accade di arrivare e sperimentare che è una terra che non ci aspettava, una terra dove non c’era posto.

Ciò che il mondo sembra non cogliere, oggi come duemila anni fa, è che il viaggio fa parte della vita, anzi la vita è viaggio ed è nel viaggio che possono compiersi i miracoli, può compiersi una realtà nuova e insperata. Proprio lì… in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria.

Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Spesso li incontriamo sulle nostre strade, nelle nostre città con i loro vestiti laceri, l’odore acre, il modo di parlare stentato. Tutto in loro genera diffidenza e spesso disprezzo. Non vediamo l’uomo, la persona, ma qualcuno da cui stare lontani, avere timore.

Ma non può essere questa la nostra prospettiva, non possiamo cedere ad una legge che divide gli uomini fra degni ed indegni, buoni o cattivi, ricchi o poveri, utili o inutili,…


non dobbiamo avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto

Il nostro compito è vivere per quella virtù che ci rende umani, la Carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Questo atteggiamento ci rende degni di gratitudine, ma non la gratitudine dovuta a noi che ci rendiamo prossimo, bensi la gratitudine verso chi viene verso di noi per donarci la prossimità.

Se davvero comprendessimo che “Partire è l’infinito del verbo Accogliere”, sapremmo ringraziare chi ci viene incontro da perfetto sconosciuto, bastonato dalla vita, isolato dalla società, lontano da casa. Accogliere è saper ringraziare per un dono ricevuto e diventare noi stessi dono per gli altri.

È una trasmissione vitale di Bene che sconfigge ogni male, supera ogni asperità, vince ogni solitudine.

Questa Accoglienza, questo Dono è tale se è gratuito, non chiede nulla in cambio, non cerca gratitudine. Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono.

Per questo mi torna in mente il versetto “venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”, perché in effetti ogni viandante non è diverso da me e nella misura in cui non lo accolgo, non accolgo neanche me stesso.

L’augurio che faccio a me stesso ed a tutti voi per il 2020 è che sappiamo “partire” per andare incontro a chi ci viene incontro e sappiamo “accogliere” con la stessa misura che vogliamo per noi, per costruire un mondo in cui regna la giustizia e l’equità, per andare al cuore della prossimità e non lasciare in disparte nessuno.

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