Ogni mattina nel mondo (non soltanto in Africa, ché alla fine alla gazzella poteva andare molto peggio) un genitore si sveglia e sa che dovrà correre più del mostro dell’adolescenza o verrà catturato, posseduto e annichilito. Ogni mattina nel mondo il mostro dell’adolescenza si sveglia e sa che potrà starsene anche comodamente seduto sul suo vecchio canapè a sorseggiare uno Spritz, con le cuffie nelle orecchie, qualche suono che ricorda lontanamente la musica, e il telefono rigorosamente senza suoneria. Perché il mostro dell’adolescenza sa, a differenza del sempre affamato leone dell’Africa, che tanto prima o poi finiremo tutti tra le sue grinfie.
E così è capitato anche a me, che sono, anzi ero, la mamma di un bambino meraviglioso, profumato e morbido. Un fagottino che è diventato mio figlio quando suo papà e io lo abbiamo adottato, uno splendido mattino di febbraio di parecchi anni fa. Una meraviglia, giuro. Baci, moine, carezze, brum brum, pappa, cacca, mamma, papà, Baba, palla, forza Toro. E poi di nuovo baci, coccole, pappa, pipì, abbracci, due candeline, tre, quattro, cinque e in men che non si dica siamo arrivati a quattordici.
Insomma, quella storia secondo cui quando ci si diverte il tempo vola deve essere proprio vera, altrimenti non mi spiego come il mostro dell’adolescenza ora sia seduto qui accanto a me, proprio mentre schiaccio i tasti del mio computer.
A volte gli parlo. Al mostro, intendo. Lui non mi risponde e mi guarda con sufficienza, masticando un chewing-gum, con le cuffie al posto dei padiglioni auricolari. Avrei solo una cosa da chiedergli: tregua. Tregua per prendere fiato, per ricordarmi che anche io a quattordici anni ero così (la leggenda – alias i miei genitori – dice addirittura che fossi peggio, ma è passato troppo tempo e devo averlo dimenticato) e per farmi credere che alla fine andrà tutto bene.
Che fare, a questo punto?
Le alternative non sono tante, se si escludono Gin Tonic doppi alle 6.50, quando affronto la prima prova della giornata (ricordare a mio figlio che deve alzarsi perché c’è scuola), e le droghe pesanti, verso cui però ho sempre nutrito un’avversione profonda. Anche riderci sopra a volte è davvero impossibile. Possiamo però provare a scherzare, o ad affrontare in maniera un po’ scanzonata, un po’ leggera o semplicemente un po’ da manuale di sopravvivenza il bello e il brutto che l’adolescenza porta con sé.
Mamma versus adolescenza, insomma, una sfida in cui il finale è assolutamente aperto. Insomma, se il Toro ha appena sbancato l’Olimpico di Roma con una doppietta di Belotti e ora è pure ai quarti di finale della Coppa Italia, dopo avere battuto il Genoa ai rigori, direi che possiamo anche stracatafottercene (cit. Camilleri) dei bookmaker: ce la farò. Ce la faremo.
Photo by Zoltan Tasi on Unsplash
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