Volontariato

Cosa c’è oltre la voragine

di Dino Barbarossa

Quando si pensa ad una voragine, l’idea è che nel cadervi dentro non si possa mai toccare il fondo. È qualcosa di infinito e sconosciuto, che in termini fisici può corrispondere ad un dolore talmente profondo e dilaniante che non può esprimersi con le parole.

Chissà quante volte ognuno di noi avrà pensato che stessimo cadendo nella “voragine” di una pandemia sconosciuta e dolorosa, da tenere distante e che ci ha progressivamente isolato, ha creato uno smarrimento senza precedenti.

Mi ha fatto pensare ai racconti di guerra, ad altre epidemie del passato, ai terremoti distruttivi, alla miseria che porta alla morte per fame, al mare che inghiotte chi lo solca sperando nella salvezza, ai milioni di bambini uccisi nel grembo materno.

Quante “epidemie” abbiamo vissuto lungo gli anni della nostra vita, senza accorgecene e sottovalutandole. In questo tempo del grande sviluppo industriale e tecnologico, nell’epoca della globalità e del consumismo, sono morte nel silenzio milioni di persone…e non per il coronavirus, ma per una cultura dello scarto che ha polarizzato agiatezza e povertà.

Infatti constatiamo che nel mondo moderno trionfa una razionalità di tipo meramente strumentale, che sa perfezionare al massimo i modi e le tecniche, ma non ha ormai la benché minima cognizione del fine cui si è indirizzata. In altre parole, gira su se stessa, a vuoto, e ignora dove la sua scienza e la sua tecnica la stiano trascinando, porta l’uomo verso l’autodistruzione.

Si può dire senza timore di smentita, che il Covid19 è un fragoroso segnala d’allarme per tutti coloro – e fra questi, noi – che non hanno sentito il grido della terra e dei poveri o che lo hanno sentito, ma hanno pensato bene di voltare le spalle in altra direzione.

Adesso che il coronavirus ci ha strappato amici, affetti, desideri, sicurezze,…cominciamo a comprendere cosa fosse quel “grande dolore muto“ (Seneca), che noi pensavamo non esistesse o fosse marginale ed invece semplicemente non parla perché è indicibile, è senza fine.

C’è ancora quella voragine davanti a noi, la stiamo osservando e certamente corriamo il rischio di caderci dentro e perderci per sempre, perché non ci viene in aiuto l’antidoto dell’indifferenza, perché questo virus ci colpisce vicino, ci colpisce dentro.

Questa pandemia è esplosa all’inizio della Quaresima dell’anno 2020 ed è ancora violenta e virulenta all’inizio della Quaresima dell’anno 2021. Verrebbe da dire: cosa è cambiato nel mondo e, soprattutto, cosa è cambiato in noi?

L’aver intrapreso un percorso doloroso, aver vissuto anche noi la Quaresima di Gesù e, in tanti casi, aver visto la Croce, nelle case, negli ospedali, nei cortei funebri,…ci ha resi più attenti e sensibili agli altri eventi traumatici che attraversano la società di oggi, riusciamo a vedere i poveri nelle nostre città, riusciamo a scorgere i migranti in mezzo al mare, riusciamo persino a guardare oltre la linea dell’orizzonte a quei popoli che i potenti della Terra (del nostro mondo occidentale) stanno distruggendo con sopraffazioni, guerre e carestie.

Vedere chiaramente i “segni” dell’incuria dell’uomo sulla terra, vedere gli incendi e le alluvioni, l’inquinamento e lo scioglimento dei ghiacciai, ci aiuta a cambiare i nostri comportamenti, i nostri stili di vita?

Ci troviamo di fronte ad un bivio e possiamo scegliere tra la gioia, la speranza della risurrezione di Gesù, e la nostalgia del sepolcro (Papa Francesco). Quel sepolcro, quella voragine in cui speriamo di nascondere presto quanto sta accadendo e tornare a fare esattamente ciò che facevamo prima.

Ma al dolore della voragine, del sepolcro, si affianca la speranza, che la vita non sia vana e che continui in un abbraccio senza fine.

Per capire come, provo a convincermi che “ogni giorno vale la pena”…non è una pena, ma un’opportunità di senso, la possibilità di guardare il fondo della voragine e di scoprire uno spiraglio di luce.

La chiave di lettura è “vivere secondo giustizia”, è quel “dare la vita” generativo e propulsivo, perché si realizza nella relazione con l’altro, anzi parte dall’altro. Si tratta di stabilire che non sono più io al centro dell’esistenza, ma c’è una condizione di policentrismo, in cui insieme al mio bene c’è il bene altrui e il bene di tutti.

Un mio fraterno amico, maestro di vita, che il covid ha portato via con se prematuramente e violentemente, in un suo libro “Un camper XXL”, offre la chiave per comprendere nel profondo il suo animo e ci offre la chiave per disporre il nostro…”Sono stanco, ma soddisfatto. Ho sofferto, ma ne è valsa la pena. Mi sento vivo, avverto di essere immerso nella vita, amo la vita. E qui capisco che questa vita che mi è donata non è solo per me”…” ogni volta che ho aperto gli occhi e ho saputo guardare oltre me stesso e la mia fatica, mi è apparsa piena di meraviglie, si scoperte incantate, di armonie meravigliose, che mi hanno parlato dell’Assoluto”…”La comprensione dei valori profondi, le tappe più significative della crescita interiore hanno avuto spesso come matrice un passaggio avvenuto nel dolore. È quel passaggio che nessuno vuole ma che nessuno può evitare, perché parte integrante della nostra umanità. E che può essere preso come dono”.

La speranza è qualcosa che va oltre la ragione ed è capace di far vedere una luce anche quando le tenebre sembrano averla vinta.

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