“Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo?”. Caro Milan Kundera, io lo so, io lo so! So anche che tu (scusa la confidenza, del resto ti ho letto talmente tanto che mi pare di conoscerti) ti riferivi ad altro nel tuo romanzo, ma perdona la blasfemia della mia citazione. Perché io uno che il piacere della lentezza lo conosce alla grande e lo pratica altrettanto alla grande lo conosco piuttosto bene.
Credimi, lo fa con una naturalezza disarmante. Lui non “va a zonzo da un mulino all’altro” e non “dorme nemmeno sotto le stelle”, e nemmeno “contempla le finestre del buon Dio”. Lui è lento. Semplicemente lento. A volte insopportabilmente leeeento. Lento come un bradipo. Più di un bradipo.
E io, lo ammetto, lo invidio da matti.
Perché lui, bello mio, se ne infischia se arriva a scuola in ritardo di tre minuti, perché sa che abitando fuori città sono cose che possono capitare se piove, se c’è il sole, se tira vento, se c’è la bufera o se semplicemente ha deciso che c’è Saturno contro.
Quando lo chiamo a tavola per la millesima volta dicendogli che “è proooontoooo, tesooooroooo”, lui mi dice sempre queste due paroline qui: "oh, caaaalmaaa!"
Calma? Sono le otto e un quarto, devi ancora cenare, farti la doccia, preparare la cartella, ripassare scienze, finire una tavola di tecnologia, passare lo scovolino dell’apparecchio e mi suggerisci di stare calma?
Certo, la calma. Amica cara della lenteeeeezza.
Per te il tempo non corre. Passa e basta, anche se non te ne accorgi. Per me invece non è mai abbastanza e ne sono diventata particolarmente gelosa, di questo tempo che non mi basta mai. Ne vorrei di più per fare le cose che mi piacciono e che invece spesso riesco a infilare soltanto nei ritagli.
Ma eccolo. Sta passando qui accanto a me. Non il tempo. Mio figlio, intendo. Sta canticchiando qualcosa che somiglia alla colonna sonora di Avengers Endgame – film che assieme a suo padre ha visto qualcosa come sei volte al cinema, una prova di fedeltà che dovrebbe inserire la mia famiglia negli azionisti di maggioranza della Marvel, ma magari ne parliamo in un altro momento – e in una mano tiene il pigiama. “Lo metto a lavare, eh, e ne prendo uno pulito”. Vorrei correre da lui e abbracciarlo perché, sì, senza che io gli dicessi nulla ha avuto uno slancio di ordine, di pulizia e di igiene personale eccezionali, ma la flemma con cui trascina la gamba destra, poi la sinistra, poi di nuovo la destra e poi ancora la sinistra per raggiungere il cesto della biancheria mi fa desistere. Decido che ok, lo abbraccerò lo stesso per riconoscere l’eccezionalità del gesto, quando rieccolo: sta tornando in camera sua e ha l’ardire di bofonchiare: “Oh, sempre tutto io devo fare in questa casa, eh”.
Allora mi alzo, sì. Con calma. Con molta calma. Mi alzo e benedico il giorno in cui ho deciso di vivere con due cani. Infilo a entrambi il guinzaglio ed esco, anche se fuori è buio e uscire con questa temperatura è come sottoporsi a una seduta di crioconservazione gratuita. Vedete, io non fumo e se dicessi che esco per prendere le sigarette nessuno mi crederebbe.
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