Cultura

Bergamo: l’integrazione di Mimmo, Lina e la loro pizzeria

di Paolo Iabichino


Questa storia nasce a Bergamo dove nel 1957 arrivarono, dalla Calabria, Mimmo Amaddeo e sua moglie Lina per aprire, nella città alta, la loro prima pizzeria: Da Mimmo appunto.

Mimmo aveva vissuto la guerra e la clandestinità. Aveva visto la cattiveria, conosciuto la grazia di essere salvato dal nemico e, anche per questo, negli anni ha usato il suo carattere mite per rispondere alle ingiustizie che vedeva riflesse negli occhi degli altri. Abitò il dopoguerra con la sapienza di chi aveva capito che “farcela” non poteva essere il risultato di uno solo, il più bravo o il più furbo, ma poteva essere, piuttosto, un sogno collettivo al quale tutti partecipavano per “farcela insieme”.

Qui Mimmo trova il senso del fare impresa nell’Italia degli anni ’50 sapendo che, così facendo, poteva stare meglio il singolo e chi gli stava a fianco.

In un piccolo libro autobiografico Mimmo scrive: Ringrazio chi mi ha sfruttato, perché mi ha insegnato a non sfruttare e questo è sempre stato il sentimento che si respirava nel suo locale dove se qualcuno passava, aveva fame e non poteva pagare veniva servito mentre Mimmo e la moglie Lina accettavano in cambio quel che ognuno poteva dare fosse stato il quadro di un artista poco fortunato o la promessa di un pagamento che sarebbe arrivato. Certi che ogni persona avesse qualcosa da donare Mimmo e Lina hanno saputo creare, anni fa, una naturale rete di sussidiarietà senza averne, forse, la reale consapevolezza.

La pizzeria dava un’opportunità a tutti: sconosciuti, terroni, poveri, ex carcerati, stranieri, perché tutti erano sulla stessa barca e chi aveva fame, in realtà, aveva più voglia di imparare e più bisogno di un lavoro che restituisse dignità e coraggio.

Lina e Mimmo hanno sempre regolarizzato tutti non badavano alle etichette ma ai risultati: chiedevano impegno, chiedevano di dare il meglio e stringevano, con ogni lavoratore, un patto di corresponsabilità spronando poi la persona a crescere. Sollecitavano a prender casa, costruire famiglia, avere la patente. Aiutavano le persone ad andare avanti e lo facevano condividendo ogni giorno la stessa tavola “perché è lì che accadono le cose migliori”.

Mimmo è mancato nel 2017, alla prima pizzeria se ne sono aggiunte altre gestite da due dei sette figli che Mimmo e Lina hanno avuto. Con loro lavorano circa 70 collaboratori con più di 20 nazionalità diverse: italiani, marocchini, senegalesi, etiopi, albanesi, argentini, croati, sloveni, peruviani, domenicani, tunisini, brasiliani, siriani, bengalesi, russi, polacchi, malgasci, boliviani, ucraini, gambiani, rumeni, nigeriani, serbi, egiziani e cingalesi. Le regole sono ancora le stesse: siedono tutti alla stessa tavola, vengono valutati sulla base del lavoro e dell’impegno. Qualsiasi vita abbiano fatto prima qui trovano una casa da cui ricominciare.

Lina continua ad accompagnare con sguardo materno la vita di ognuno di loro: Cumba, 50 anni, del Senegal si commuove raccontando di come a ‘nonna Lina’ basti un buongiorno per capire come stanno gli altri oppure Alem, fuggita da un’Etiopia in guerra ricorda, grata, i primi anni di lavoro quando le permettevano di portare con sé la sua bambina, che oggi ha 26 anni, facendola colorare seduta al tavolo del ristorante. Ancora Nizaar, esule tunisino con un viaggio odissea alle spalle, che grazie alla sua tenacia e alla voglia di imparare è diventato un pizzaiolo e ha avuto così la sua possibilità di rinascita. Quando gli si chiede di Mimmo si ferma, prende fiato, e dice “era un uomo di cuore”.

Mimmo è stato un imprenditore ma la sua più importante innovazione è stata quella di dare fiducia alle persone.

Non sempre è stato facile, non tutto è stato sempre positivo. Qualche delusione è accaduta ma Mimmo aveva visto cose più grandi non smetteva mai di dire sì alla vita, procedeva determinato e generoso, sostenendo quanto fosse importante anche sbagliare e, spesso, si trasformava in quel padre misericordioso capace di accogliere ancora, poggiando sempre una mano sulla spalla di chi arrivava oppure, in alcuni casi, tornava.

Perché le cose più straordinarie accadono nell’ordinario dove responsabilità e fiducia sono efficaci solo se reciproche e a Bergamo questo è accaduto e continua ad accadere.

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Storia raccolta da Maura La Greca

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