Famiglia

Ho imparato a mediare i conflitti. Anzi no

di Paola Strocchio

Qualche giorno fa la scuola che frequenta mio figlio mi ha invitato a partecipare a un incontro serale dedicato alla mediazione dei conflitti, in particolare quelli tra genitori e figli.

Nell’ordine ho pensato:

  • ok, ho una cimice addosso e sanno quello che succede tra me e il mio ragazzo.
  • ok, visto che lo sanno, allora tanto vale andarci. Peggio di così non potrà andare.

Una volta arrivata sul posto ho scoperto che l’invito era stato esteso a tutti i genitori, non soltanto a me, e così ho capito che probabilmente non ho delle cimici inserite nella plafoniera del salotto.

L’incontro è stato molto interessante. Ci hanno diviso in gruppi e poi hanno chiesto a ciascuno di noi di simulare un conflitto con cui ci è capitato di fare i conti e di provare a raccontare come quanto meno abbiamo provato a risolverlo.

Visto che il mio mantra è “nulla capita mai per caso”, ho pensato che potesse essere l’occasione giusta per imparare qualcosa. Mi sono calata così a fondo nella parte che le due conduttrici dell’incontro mi hanno chiesto di recitare la parte dell’adolescente davanti al resto dei partecipanti al corso. Di fronte a me, anche lui chiamato a recitare, c’era un papà, motivato e sconsolato quanto me. Ci siamo lanciati in una rappresentazione che forse dal punto di vista artistico ha lasciato un po’ a desiderare, ma che mi ha permesso di trasformarmi per quindici lunghissimi minuti in una sedicenne che vuole andare a ballare insieme con le sue amiche e che deve provare a strappare il via libera al padre, che invece non ne vuole sapere. Chi ha vinto, tra me e l’austero genitore? Nessuno, perché – come mi hanno insegnato – quando si media non c’è un vincitore e nemmeno un vinto. Ci sono due persone che provano a parlarsi, a spiegare come si sentono e quali sono le ragioni che le spingono ad avanzare determinate richieste. Insomma, tutto chiaro, sulla carta. Papà e figlia (io, in quel contesto) hanno trovato un compromesso e vissero tutti felici e contenti (per lo meno fino alla prossima volta).

Forte di questa esperienza, sono tornata a casa stanca ma felice (scrivevo proprio così, alle elementari, quando dovevo fare il resoconto della gita scolastica sul mio quaderno a righe con la copertina rossa), piena anche di buone speranze e di positività, con in tasca la voglia di cambiare il piccolo grande mondo di cui facciamo parte mio figlio e io. Ma è andata esattamente come mi succede ogni settembre, quando mi metto davanti allo specchio e giuro che sì, adesso mi iscrivo in palestra, non bevo più bevande zuccherose e non dico più parolacce (nemmeno allo stadio). Perché il giorno dopo, mentre eravamo in macchina, tornando da scuola, mio figlio mi ha detto che vorrebbe “tantisssssssimoooo” un mixer nuovo che costa qualcosa come 15mila euro, perché “mamma, io voglio proprio fare il dj”. Sono stata bravissima a non perdere il controllo della macchina, altrimenti non sarei qui a battere i tasti del mio computer, peraltro con una punta di isterismo, ma non altrettanto brava nel non perdere il mio, di controllo. Credo di avere bisogno di una seconda lezione di mediazione dei conflitti, insomma. Ma ce la farò, prima o poi. Magari dopo avere fatto una lunga passeggiata con i miei due unicorni.

PS: per i paladini del “dobbiamo assecondare le passioni dei nostri figli” e del “quello del dj è comunque un mestiere da rispettare” ho programmato un colloquio con un insegnante sound producer (non so bene cosa voglia dire, ma c’è scritto così) perché mio figlio “N-E-L-T-E-M-P-O-L-I-B-E-R-O” possa coltivare la sua passione. Per il mixer, ne riparliamo tra qualche decennio, quando forse potrà beneficiare di quanto gli lascerò in eredità, se non deciderò di dilapidare tutti i miei risparmi in cocktail rigorosamente analcolici che mi facciano superare questi anni così difficili.

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