Oggi sono sempre più numerose le organizzazioni pubbliche e private che, per poter perseguire la propria missione, guardano con attenzione alla raccolta fondi. La maggior parte di esse dispone però di budget molto limitati e spesso non sa proprio come muoversi in un’arena che sta diventando sempre più competitiva. Grazie all’esperienza maturata in cinque edizioni del Master per promotori del dono e alle altre iniziative in cui sono stato coinvolto come Fondazione Italia per il dono, mi sono però convinto che le condizioni necessarie per conseguire risultati importanti siano tre e che, grazie alle risorse che sono disponibili anche via web, queste possono essere conseguite con risorse molto limitate.
La prima condizione, quella più difficile, ma quella più necessaria per poter mobilitare donazioni è di natura culturale, perché, come diceva Peter Drucker, la cultura si mangia la strategia a colazione e quindi, se quest’ultima non è coerente con l’identità dell’ente, essa è destinata a fallire. Per chi non può contare su budget importanti da dedicare a marketing e comunicazione, la modalità più efficace per mobilitare donazioni è senz’altro la valorizzazione del proprio patrimonio relazionale, ma, perché ciò funzioni, è necessario che la raccolta fondi venga vissuta e percepita come parte integrante dell’identità dell’ente. L’obiettivo non è semplicemente quello di mobilitare risorse con cui finanziare le proprie attività, ma fare del dono una leva attraverso la quale perseguire la propria missione, condividere i propri valori e ideali, creare una coscienza comune e coinvolgere la propria comunità.
Il dono cessa di essere una richiesta di aiuto per trasformarsi in un’opportunità che offriamo ai nostri interlocutori. Grazie al dono, essi possono testimoniare concretamente i loro valori, contribuire a definire e realizzare il bene comune, vivere emozioni autentiche, costruire un welfare più sostenibile e soprattutto affermare la propria umanità. Sono però ancora troppe le persone che confondono la raccolta fondi con l’accattonaggio. Liberarsi da questa prospettiva è fondamentale se vogliamo mobilitare la nostra organizzazione e cogliere le opportunità che il dono ci offre per migliorare le nostre capacità di comunicazione e di cura delle relazioni, approfondire la nostra identità, motivare i nostri collaboratori. Modificare una mentalità che identifica il dono con la rinuncia e il sacrificio invece che con una fonte di gioia, è però un’impresa lunga e complessa per la quale sono necessari contenuti originali opportunamente confezionati, così che possano essere diffusi all’interno del proprio ente.
La promozione del dono, come ogni attività, presuppone competenze e professionalità che possono essere veramente acquisite solamente con la pratica, anche se, naturalmente, la formazione può aiutare. Fra tutte le competenze che sarebbe utile sviluppare, quella senz’altro più importante, è la pianificazione. Un’efficace campagna di raccolta fondi da implementare a Natale va pensata in primavera. Soprattutto in una prima fase non sono necessarie competenze particolarmente sofisticate, ma la possibilità di prendersi il tempo per rispondere ad alcune domande fondamentali, così da poter strutturare le proprie attività.
Purtroppo sappiamo bene come per gran parte degli enti il tempo sia la risorse più scarsa e ci si trovi sempre a doversi districare fra infinte emergenze quotidiane. Inoltre siamo in un mondo in cui la tendenza è quello di fare ciò che ha una scadenza, indipendentemente dalla sua importanza, e a posticipare ciò che sembra non averne, anche se si tratta di un’attività fondamentale. Per questo diventa indispensabile individuare un responsabile e fissare delle scadenze nella definizione delle varie fasi della pianificazione, nella consapevolezza che il rispetto dei tempi è la cosa più importante, perché Natale è il 25 dicembre e non si può posticipare. Da qui la necessità di un soggetto esterno che, senza chiederci troppo, ci presenti queste domande e ci imponga il ritmo di cui abbiamo bisogno.
Infine è necessario dotarsi di un’infrastruttura legale, fiscale, operativa che permetta ai donatori di utilizzare la forma di pagamento da loro preferita, di essere prontamente ringraziati, di massimizzare i benefici fiscali, di avere adeguate garanzie su come le risorse donate sono state effettivamente utilizzate e, nel contempo, di creare le condizioni affinché il responsabile del coordinamento della campagna sia informato in tempo reale di quanto sta succedendo. Dotarsi degli strumenti necessari per soddisfare tutte queste esigenze può essere complesso e, fino a poco tempo fa, solo le grandi organizzazioni potevano sostenere gli investimenti necessari.
Oggi, invece, grazie all’intermediazione filantropica, qualsiasi organizzazione pubblica o privata che persegua finalità di pubblica utilità può dotarsi, in pochissimo tempo e senza alcun investimento iniziale dell’infrastruttura necessaria per gestire al meglio le relazioni coi propri donatori garantendo loro, indipendentemente dalla propria natura giuridica e fiscale, tutti i benefici previsti dal Codice del Terzo Settore, con un risparmio che può andare dal 30 a quasi il 50% del valore della donazione. Si tratta di un’opportunità di cui pochi sono pienamente consapevoli, ma che potrebbe generare importanti risparmi incrementando la loro efficacia.
Per cercare di dare una risposta a queste esigenze ed aiutare tutti gli enti che perseguono finalità d’utilità sociale a soddisfare queste tre condizioni, così da poter implementare un’efficace attività di raccolta fondi e, nel contempo, contribuire a rafforzare i legami sociali attraverso la diffusione del dono, è nata la seconda edizione di Impariamo a pescare. Non si tratta di raccogliere qualche donazione in più, ma di unire le forze per costruire una società più umana e di fare del privato sociale, non la stampella a cui appoggiarsi nei momenti di bisogno, ma il fondamento di una comunità che faccia della dignità della persona il suo vero e unico fine.
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