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Sudan, parla il vescovo di Torit

"Khartoum ha trovato la scusa che cerva per abbandonare i colloqui di pace", il commento del presule all'agenzia missionaria Misna

di Redazione

“Dopo tante provocazioni alla fine il governo sudanese ha ottenuto quello che voleva, una scusa per ritirarsi dai colloqui di pace”. È questo il commento a caldo rilasciato alla Misna dal vescovo ausiliare di Torit, Akio Johnson Mutek, sulla improvvisa sospensione da parte di Khartoum delle trattative con i ribelli dell’ Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla) in corso dal 12 agosto in Kenya.
Durante il fine settimana gli uomini dello Spla hanno sottratto al controllo dei governativi Torit, una delle principali città del Sudan meridionale. Secondo l’esercito, i ribelli avrebbero conquistato il centro abitato dopo un violento attacco preceduto da un intenso bombardamento. Secondo i ribelli invece la presa di Torit sarebbe stata la risposta ad una provocazione delle forze di Khartoum. Un portavoce dello Spla ha infatti dichiarato che i combattimenti sono iniziati quando alcuni reparti di militari sudanesi hanno attaccato postazioni dello Spla nella zona. La controffensiva dei ribelli li avrebbe portati, stando a quanto riferito, fin dentro la città stessa.
“Non conosco le dinamiche precise della battaglia di Torit – ha detto il presule alla Misna – ma una cosa è certa: Khartoum da tempo ha iniziato nell’intera Equatoria orientale una campagna sistematica fatta di provocazioni. Ne sono dimostrazione i bombardamenti quotidiani dei villaggi della nostra diocesi, che segnaliamo continuamente e di cui la Misna ha dato notizia nelle scorse settimane”.
Già nei giorni scorsi il portavoce della diocesi di Torit, Jervasio Okot, aveva commentato come le incursioni ripetute e martellanti degli Antonov (bombardieri di fabbricazione russa) sudanesi contro tutti i villaggi che circondano Torit, avessero l’unico scopo di spaventare i civili. “Khartoum cercava solo un pretesto per screditare l’accordo raggiunto a Machakos (Kenya, ndr) lo scorso 20 luglio. Non è un segreto che quel “protocollo d’intesa”, com’è stato definito dalle parti, raggiunto grazie alla mediazione dell’Igad e con lo zampino degli Usa scontentasse molti a Khartoum e non solo”, ha continuato Okot. Secondo il portavoce, infatti, i punti che compongono il documento costringerebbero di fatto (cosa mai accaduta prima) il governo a condurre trattative con la controparte sulle reali cause del conflitto che dal 1983 non dà tregua alle popolazioni civili del sud Sudan.
I negoziati in corso in Kenya si sarebbero spinti troppo oltre, andando a toccare il delicato tema della condivisione delle ricchezze derivanti dal petrolio. Lo Spla, infatti, chiede da tempo al presidente sudanese Omar el-Beshir di dividere i proventi dell?oro nero, indispensabili per un rilancio del sud del Paese, che vive in un grave stato di arretratezza economica e sociale. Un argomento che i facilitatori internazionali del dialogo questa volta non hanno ignorato ma che invece è stato inserito nell’agenda negoziale di queste ultime settimane. L’accordo di Machakos e la piega presa dai negoziati in corso in Kenya avrebbero, secondo le fonti della Misna, infastidito non solo governo ed opposizione a Khartoum, ma anche più di un Paese arabo. Libia e Arabia Saudita in testa.

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